Giorgio Oldrini, il giramondo si racconta: “Feci da interprete a Berlinguer. Fidel Castro? Ossessionato dai numeri”

Ex corrispondente da Cuba per L’Unità, l’ex sindaco ha raccolto in un libro racconti e luoghi di una vita tra America Latina, Val Brembana e la sua Sesto San Giovanni

Giorgio Oldrini, primo da sinistra, con Fidel Castro a Cuba

Giorgio Oldrini, primo da sinistra, con Fidel Castro a Cuba

Apre con un trattato sui confini e si snoda in un mare di aneddoti: dalla prima fuga, a 5 anni, fino al ponte Greco-Pirelli in bici lungo le fabbriche, ai pellegrinaggi ai campi di sterminio e al tour in Val Brembana tra storie di briganti, poste e taxi. E poi ovviamente Cuba e l’America Latina, dove tra il 1975 e il 1984 fu corrispondente e inviato de L’Unità e dove tornerà ad aprile, e Sesto San Giovanni, la sua città dove è stato sindaco dal 2002 al 2012. È un “Piccolo girotondo intorno al mondo” (Giorgio Tarantola Editore) quello ripercorso da Giorgio Oldrini nel suo ultimo libro.

Prima di Cuba, fu uno studente che manifestava per la pace. È vero che riuscì anche a interrompere il Giro d’Italia?

“C’era la guerra del Vietnam, io ero dirigente della Fgci e il partito decise che c’era bisogno di una grande manifestazione. Il giorno dopo partiva il Giro del cinquantenario. In piazza Duomo era prevista a mezzanotte una gara a cronometro con banda, auto d’epoca, diretta Rai. Arrivammo con gli striscioni, gridavamo come pazzi. La nostra voce entrava in video anche se le telecamere non ci inquadravano. Qualcuno temeva che i tifosi ci prendessero a calci, invece ci applaudirono. Adriano De Zan, grande cronista dell’epoca, cercò di liquidarci: ‘Anche noi siamo per la pace, ma adesso andate via’. All’una si arrese e la corsa fu annullata. Da appassionato mi sarebbe piaciuto vedere il circuito attorno al Duomo con Gimondi. Capii che a volte ci sono contraddizioni non solo in seno al popolo come diceva Mao ma anche in ciascuno di noi”.

A Cuba ha vissuto 8 anni. Quando è tornato, cosa le mancava?

“Il clima e il mare. Cuba era molto povera, era difficile trovare le cose anche più elementari ma c’era una straordinaria facilità di contatto con tutti. Potevi parlare con un grande scrittore e diventarci amico, avere un ministro che veniva a mangiare a casa tua. Era normale. Quando siamo tornati, mia figlia Silvia invitò un compagno a giocare e quello rispose ‘Di’ a tuo padre di chiamare mia madre’. A Cuba, dove era arrivata a un anno, apriva semplicemente la porta e andava dal vicino”.

A proposito di beni di consumo: riuscì ad avere una bicicletta anche a L’Avana?

“Dopo varie traversie, comprai una bici cinese. Dicevo che con pochi artifici avrei potuto trasformarla in un carro armato. Pesava talmente tanto che, se fossero arrivati gli americani, saremmo stati corazzati”.

Fece da interprete a Enrico Berlinguer...

“Arrivò a Cuba nel 1981, accolto da Fidel Castro. Poi viaggiò in Nicaragua e Messico, dove formalmente eravamo invitati dal partito comunista messicano che era molto piccolo e, sfidando la geografia, si definiva eurocomunista. In realtà Berlinguer andava a incontrarsi col presidente della Repubblica messicana. Loro erano abituati a conferenze stampa con 5 o 6 giornalisti. Ne arrivarono una marea, molti dagli Stati Uniti: nessun segretario del Pci si era mai spinto fin lì. Berlinguer chiese ‘Chi fa l’interprete?’. E mi indicarono”.

Come andò?

“Fatica infinita. A un certo punto un americano gli chiese ‘Vi candidate a guidare l’Italia, ma non avete esperienza’. Lui rispose che da tempo governavano Roma, Firenze, Bologna. Usciti, gli dissi ‘Scusa Berlinguer, mi hai fatto impazzire e non hai citato Sesto San Giovanni?’”.

Com’era Fidel Castro?

“Generoso, anche troppo. Tutti i giorni erano incontri, dibattiti, visite a fabbriche, cene. La sera ci mettevamo il pigiama e arrivava lui. ‘Ho proprio voglia di discutere’. Era maniaco dei numeri: quanto guadagna un giornalista, quante mele dà un albero in Emilia, quanto grano si produce in Pianura Padana... Una sera Renato Sandri, dirigente Pci, prese coraggio e gli chiese delle voci sul flirt con Gina Lollobrigida, ma Fidel da gentiluomo negò”.

Anche in Messico c’era chi voleva parlare con gli italiani.

“Con Renato andammo al primo congresso non illegale del partito comunista. Che è già surreale detta così. Un giorno arrivò un dirigente in platea con due figuri alti e ci prelevarono per portarci dal ministro dell’Interno. Quello ci abbracciò, sorrise e ci disse ‘Avevo proprio voglia di conoscervi perché sono un gramsciano’. Passammo il pomeriggio a discutere del concetto di egemonia, dell’ordine nuovo e delle lettere dal carcere”.

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