GRAZIA LISSI
Cultura e Spettacoli

Claudio Coviello: "La mia danza è talento e passione"

Il 28enne primo ballerino della Scala ha scoperto il ballo in una vacanza al mare quando aveva 5 anni

Il ballerino Claudio Coviello

Il ballerino Claudio Coviello

Milano, 8 febbraio 2020 - Il suo arrivo al Teatro alla Scala è stato una sorpresa, talentuoso, bello e tenace, tanto da far invidia a ogni artista. Claudio Coviello, primo ballerino, 28 anni, protagonista al Piermarini, nella "Serata van Manen-Petit", di "Sarcasmes" e "Les combats des anges" e, fino a stasera alternandosi a Bolle, in "Le jeune homme et la mort" capolavoro esistenzialista di Roland Petit.

Quando ha scoperto la danza? "Durante una vacanza al mare con i miei, avevo cinque anni, gli animatori facevano ballare i bambini ed io ero sempre in pista. Al ritorno ho chiesto di frequentare una scuola di danza, sono nato a Potenza, era danza moderna e non m’ interessava, finché qualcuno suggerì a mia madre di farmi fare un’audizione alla scuola dell’Opera di Roma". Cos’ha significato, per lei, uscire da casa a 10 anni? "Quando mi hanno comunicato l’ammissione alla scuola dell’Opera ero felice, inconsapevole di ciò che sarebbe accaduto. I miei non potevano né lasciare il lavoro, né, tantomeno, mio fratello così i miei nonni decisero di trasferirsi con me. Grazie a loro sono riuscito a intraprendere un percorso di studi lontano casa, senza sentirmi solo". Ed essere ammesso, poi, al Corpo di Ballo della Scala? "Una fortuna, avevo 18 anni e tanti dubbi se andare all’estero o rimanere; quando mi ha chiamato il più grande teatro al mondo, mi sono sentito onorato. Il primo impatto è stato con la vostra città, adoravo Roma, le piazze, alcuni luoghi che erano diventati un riferimento e poi abbandonavo i miei amici. Oggi non lascerei Milano, sono riuscito a costruirmi nuovi affetti e trovo la città fantastica". Al Teatro alla Scala hanno danzato i più grandi ballerini del XX secolo. "Lo avverto ogni volta che entro in scena, Rudol Nureyev, Carla Fracci, Murru, Alessandra Ferri. Quando sono entrato in compagnia ho conosciuto Massimo Murru, Roberto Bolle, i miei miti. Murru, oggi è “maître de ballet” alla Scala, ci stimola, ci insegna a entrare profondamente nel personaggio, a scoprirne le tante sfumature. E’ straordinario lavorare con un grande artista come lui". Fin dagli esordi la critica l’ha definita «il nipotino di Nijinsky». Come vive il paragone? "Diciamo che un po’ impegnativo. La prima volta che l’ho letto, dopo aver interpretato “Le Spectre de la rose”, sono rimasto senza parole, nella storia della danza Nijinsky è il massimo a cui un ballerino può aspirare, una leggenda irraggiungibile". E’ in scena con tre significative interpretazioni. "Ho interpretato anni fa, per la prima volta, “Le jeune homme et la mort”, oggi sono più maturo, riesco a entrare maggiormente nel pensiero del protagonista, nella sua drammaticità.  

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