Da fattorino a miliardario, re della presse du coeur. Una storia da poema epico. Più modernamente, perfetta per una grande, vagheggiata, opera cinematografica. Preludio, intanto, il documentario “Cino Del Duca. Una passione, due nazioni”, oggi alle 16.15 su Rai 3. Soggetto di Paola Severini Melograni.
Per Cino Del Duca (1899-1967) ha lei stessa una vera passione, perché?
“Trovo affinità tra la vita avventurosa della mia nonna marchigiana – Giuseppina Rusca: a 14 anni andò a piedi a Roma – e quella di Cino: ragazzo del ’99, nato in un piccolo paese delle colline marchigiane, Montedinove, Ascoli Piceno”.
Definito il genio avventuroso del nostro miglior Novecento, Pacifico (nome del nonno, poi per sempre Cino) fondò pure Il Giorno.
“Promosso con un altro marchigiano, Enrico Mattei, nel 1956”.
Avete documentato l’evento?
“Ho potuto solo farmi raccontare da Luigi Locatelli, uno dei primi assunti, che i due andavano personalmente in redazione a controllare ogni cosa”.
Il docufilm è coinvolgente. Bravo il regista, Roberto Dassoni.
“E sceneggiatori e consulenti e assistenti... Dovrei ringraziare tutti per il risultato: mix di materiali, intelligenza artificiale, stile di ripresa “sporco”. Insomma, lo storytelling, oltre che originale, risulta affine alla personalità eclettica del protagonista. E mi lasci ringraziare pure l’Ambasciata d’Italia in Francia e l’Ambasciata di Francia in Italia”.
Lei è saggista e giornalista, titolare della nostra rubrica “Nonne d’Italia”. Paola, è anche europeista?
“Certo, convinta che il documentario possa gettare un ponte tra le nazioni. Facendo scoprire ai giovani, e ai tanti che ancora lo ignorano, un italiano che si fece amare da Charles de Gaulle, primo presidente della quinta Repubblica francese, diventando il suo primo contribuente”.
Qualche cifra su quell’impero mediatico?
“Il ragazzo che aveva iniziato come venditore di dispense porta a porta, in anticipo sugli altri, sente i desideri e le fantasie del suo tempo. Intuisce quanto i lettori abbiano voglia di romanticismi, piccoli eroi, linguaggi semplici, storie per ragazzi. L’Italia comincia a conquistarla con “Il Monello” (oltre 2.000 fascicoli e fino a mezzo milione di copie vendute a settimana) e con “Intrepido” (fino a 600mila copie vendute a settimana)”.
Poi, con l’invenzione del fotoromanzo popolare “Grand Hotel” e del rotocalco di gossip “Stop”, saranno milioni di lettori in adorazione dei nuovi Divi. E oltralpe?
“Più di cinque milioni di francesi leggevano “Nous deux”, “Boléro”, “Intimité”, “Festival”. La prima tipografia di Cino, inaugurata nel 1954 nella regione parigina, fu una delle più moderne d’Europa. Vi trasferì a lavorare i suoi compaesani, altrettanto geniali, di Montedinove”.
Ma quando nel paesello arrivava la signora Del Duca?
“Simone Nirouet, moglie del magnate, li sbalordiva con la sua Rolls-Royce bianca, i suoi turbanti. E sbalordì anche me, quando una volta la vidi ingioiellata accanto a Grace Kelly: i gioielli della principessa non erano altrettanto splendidi”.
Socialista, con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra, Cino raggiunse il successo, per finire però criticato dai moralisti, per gli effetti “perversi” delle sue riviste.
“Mio marito Piero Melograni, storico, ha spiegato che con “Grand Hotel” le donne impararono a lavarsi”.
Più recenti benefici?
“Ogni anno, la “Fondazione Simone e Cino Del Duca” conferisce un Premio, il più cospicuo al mondo dopo il Nobel, a un’opera in tutti i campi della conoscenza”.