Ascanio Celestini, artigiano della parola. A Milano torna con Radio Clandestina: 24 anni di repliche, “mai una uguale all’altra”

Al Teatro della Cooperativa con lo spettacolo sull’Eccidio delle Fosse Ardeatine. “L’Italia è un Paese che non ha fatto i conti col passato fascista”

Ascanio Celestini

Ascanio Celestini

Milano – Un artigiano della parola. Pare che ne esistano ancora. Al servizio della memoria. Almeno in questo caso. Con uno spettacolo che dal 2000 racconta l’eccidio delle Fosse Ardeatine: “Radio Clandestina”, solo stasera al Teatro della Cooperativa di Milano. Dove Ascanio Celestini torna ancora una volta a quel 24 marzo 1944 e alle 335 vittime della rappresaglia nazista. Qui partendo dal libro “L’ordine è già stato eseguito” di Alessandro Portelli.

Celestini, ventiquattro anni di repliche è quasi un record.

"Ma ogni sera è diverso, non imparo mai i testi a memoria. La storia è quella, ci sono come dei passaggi obbligati, a cui torno sempre. Si modifica però la forma, senza toccare il contenuto".

Un approccio che si rifà alla tradizione orale.

"È quello che mi interessa. Un uso del linguaggio che appartiene a tutti e che si lega al patrimonio familiare. Mia nonna ad esempio aveva un grandissimo repertorio di vicende legate alle streghe e anche lei aveva i suoi testi, molto precisi, solo che poggiavano sulle immagini. Come quando raccontiamo a un amico le nostre vacanze in Puglia. Un tipo di memoria su cui lavoro a teatro".

Scusi la curiosità: perché le streghe?

"Erano storie diffuse nell’Alto Lazio dove era nata. A cui si aggiungeva il fatto che un lontano parente pare che avesse catturato una strega. Questo mostra come la narrazione orale non sia mai autoriale ma è sempre la comunità che si racconta. Non c’è Paul Auster chiuso nel suo studio a scrivere un romanzo. Ma attraverso le parole la comunità si costruisce a livello culturale, con dispositivi diversi".

Una dinamica che lei cerca di ripetere sul palco?

"Il teatro borghese rende tutto questo un prodotto, quindi oggi non è possibile. Oltre al fatto ovviamente che mia nonna non avrebbe mai detto “faccio parte della costruzione culturale di una comunità etc...”. Lei credeva in Dio e basta, non perché aveva letto Leibniz. Cerco però di portare quella qualità di “scrittura” all’interno di un’arte che rimane orale, usando una sensibilità artigianale, una cassetta degli attrezzi da cui ogni sera provo a scegliere lo strumento giusto, pescando da esperienze e conoscenze".

È cambiato dal 2000?

"Sono invecchiato, mi sono venuti i capelli bianchi. Durante la trasmissione di Augias per la Liberazione, rivedendo alcune vecchie immagini dello spettacolo mi sono reso conto che anche i miei filmati sono ormai di repertorio, pagine d’archivio".

Sempre in tv l’altro giorno ha invece discusso con Massimo Magliaro che si è definito “fascista”: l’ha sorpresa?

"In realtà ero lì proprio per parlare di questo. Cioè di come l’Italia non abbia mai fatto i conti con il proprio passato, permettendo ai fascisti di proseguire dopo la guerra a lavorare in politica e nelle prefetture. In Germania invece i processi sono stati la possibilità di confrontarsi con un’idea di giustizia e di verità. Senza contare poi che una volta iniziata la Guerra Fredda nel 1947, la contrapposizione fu subito fra comunisti e anticomunisti. Tutte ragioni per cui facciamo fatica ad analizzare anche fenomeni come la P2 o le stragi di Stato. Il fascismo rimane un peso per il nostro presente".

Perché considera i rappresentanti della sinistra i nuovi conservatori?

"Perché ci si ritrova a dover difendere i risultati di lotte sociali precedenti, dall’aborto al sistema sanitario nazionale, fino alla scuola. Una proposta come quella delle classi differenziali riporta indietro il Paese di mezzo secolo. Rischi più concreti di un possibile ritorno di manganelli e olio di ricino, anche se non me la sentirei di escluderli del tutto".

Una specie di arrocco progressista?

"Diciamo che si cerca di proteggere posizioni precedenti, dinamica che per altro non è che abbia chissà quale fascino sui più giovani. Un conto è infatti scendere in piazza per raggiungere qualcosa, un altro è cercare di coinvolgere spiegando lo Statuto dei Lavoratori. Ma oggi i pericoli sono questi".

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