Alberto Camerini: il ritorno del "Rock’n’Roll Robot"

Canta gli Anni 80 a ingresso libero al Carroponte

Alberto Camerini ai tempi del successo di canzoni come Tanz Bambolina e oggi a 66 anni

Alberto Camerini ai tempi del successo di canzoni come Tanz Bambolina e oggi a 66 anni

Sesto San Giovanni, 18 agosto 2017 - Non si esce vivi dagli Anni 80. Avevano ragione gli Afterhours di Manuel Agnelli. Non ci libereremo mai del decennio più mistificato della storia. La vita tutta da bere. La spensieratezza. Meglio riderci su allora. Far festa con una delle sue grandi icone pop: Alberto Camerini, sopravvissuto a sé stesso e al successo clamoroso di “Rock’n’Roll Robot”, “Serenella”, “Tanz Bambolina”. Rimane l’Arlecchino del rock italiano. Anche se da tempo non si trucca più gli occhi e la testa è rasata come un qualsiasi sessantaseienne. Stasera alle 21.30 è lui sul palco del Carroponte. Concerto gratuito. L’ideale «se nulla ti soddisfa e ti annoi sempre più».

Camerini, cosa fa stasera sul palco?

«Canto il mio repertorio, cercando di raccontare la storia di Arlecchino fra un pezzo e l’altro. Qualcosa vicino al cabaret».

Tipo Brecht?

«No, tipo Dario Fo. Sono il giullare che parla al pubblico, fra comizi e deliri. La gente si diverte ma io mi limito a parlare di Arlecchino e del Carnevale, non mi assumo responsabilità che non competono ai giullari, agli attori comici falliti… Sono solo un’icona pop Anni 80».

E com’erano questi Anni 80?

«Era la stagione della rivoluzione individuale, del riflusso. Passata la speranza nella rivoluzione socialista, è arrivata quella narcisista, con la liberazione di alcuni temi importanti. Senza contare l’arrivo di pc e sintetizzatori. Per me sono stati gli anni più felici, sia a livello musicale che personale, con la nascita dei miei figli».

Il momento più bello?

«All’Arena di Verona nel 1981, il trionfo di “Rock’n’Roll Robot”. L’anno dopo invece un disastro, persi le lenti a contatto sul palco».

Il più brutto?

«Dopo Sanremo dell’84, quando ho capito che non avevo alcun potere sulla mia carriera. Ero fuori dal gioco, senza alleati, isolato, un po’ infantile».

È lì che sparisce?

«Più che altro nessuno mi portava più in tv, non è che fossi diventato l’insetto di Kafka. Vivevo nella mia illusione, scrivevo canzoni a casa, mi godevo i due bambini. Ma i Novanta sono stati peggio, seratine nei bar, un inferno».

Poi cambia tutto.

«Sì, i dj rivalutano il periodo e improvvisamente tutti ti pagano dieci volte tanto. Era come se fosse arrivata la pensione, come se avessero lanciato i viveri di salvataggio dagli aerei: un miracolo».

E oggi come va?

«Cerco di godermela. Vivo una nuova vita, sono arrivato al livello 66 del gioco, spero sia sempre meglio. Ho i miei sintetizzatori, lo studio di registrazione, lavoro sui provini. Spero un giorno di presentarli dal vivo al pubblico, magari con una band».

Fra i colleghi si sente meno solo?

«Sono amico di Ivan Cattaneo, Viola Valentino, Fiordaliso. Ci diamo qualche consiglio, a volte bisticciamo se uno ha un cachet più alto».

Quindi meglio ora o negli Anni 80?

«Guarda, gli Anni 80 per me sono proprio imbattibili. Forse solo una tournée americana con un miliardo di spettatori potrebbe essere meglio. Sarà il prossimo obiettivo…».

 

 

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