Vini, bei numeri Però troppe denominazioni

Emanuele

Bottiroli

Il valore dell’imbottigliato e le certificazioni sono in crescita a detta dell’Annual Report 2022 di Valoritalia mentre biologico e sostenibilità guidano le scelte d’acquisto. Il vino italiano tiene e anche nel 2021 ha finito col dar prova di grande solidità e dinamismo: l’imbottigliato certificato che sfiora i 10 miliardi di euro. Tant’è che, nonostante le previsioni in genere pessimiste se non catastrofiche, gli anni difficili della pandemia e la guerra, le vendite sembrano crescere in modo sensibile e incoraggiante: +11% rispetto al 2020 e persino +12% sul 2019. Rispetto al 2021, a fare da locomotiva - si legge su “Tre Bicchieri”, settimanale economico del Gambero Rosso – "rimane il Nordest, con il Pinot Grigio delle Venezie e il “Sistema Prosecco” che hanno messo a segno biennio 2020-2021 un +22,7%, per un totale di poco inferiore al miliardo di bottiglie. Di rilievo anche le impennate di altre denominazioni, come Brunello di Montalcino (+40%), Barolo (+27%), Gavi (+23%), Franciacorta (+12%), Chianti Classico (+11%), Nobile di Montepulciano (+10%)".

E se Doc e Docg sono cresciute del 16% "a perdere terreno sono le Igt, a meno 5%", cosicché "nel biennio 2020-2021, il mercato ha privilegiato soprattutto spumanti bianchi, che hanno ottenuto una progressione del 26%, seguiti dai vini passiti (+15%), dai bianchi (+7%) e rossi (+3%)". In questo quadro emerge però una criticità: le prime 50 denominazioni coprono il 95% del valore economico complessivo, le ultime 100 appena lo 0,47%, secondo stime di analisti del settore. Questo sta a significare che solo poche decine di denominazioni hanno un ruolo da protagonisti, un centinaio sono spettatori. E ciò dovrebbe suggerire di riconsiderare le regole del sistema, apportando correzioni necessarie. Per il presidente uscente di Federdoc Riccardo Ricci Curbastro, nel 2009 primo presidente di Valoritalia, "526 denominazione sono troppe" mentre "si potrebbe pensare a sottozone per favorire aggregazioni senza dover rinunciare al proprio nome in etichetta". Ma se ormai si dà per acquisito il valore aggiunto della certificazione, "c’è un ambito che è una nuova frontiera, la sostenibilità. E la certificazione è garanzia di qualità oltre che un argine al “greenwashing“". Non mancano i consumatori attenti alla responsabilità sociale ed economica dell’azienda.

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