Viaggio tra i covi dei disperati all’ombra dei grattacieli. I fantasmi nelle notti in strada

A Porta Nuova, sei giacigli in pochi metri accanto a un cantiere e al “prolungamento“ del Parco Biblioteca degli Alberi. E sotto i tunnel della stazione Centrale restano i rifugi

Uno spaccato dei rifugi in strada vicino a Porta Nuova

Uno spaccato dei rifugi in strada vicino a Porta Nuova

Milano – Un rifugio di fortuna in un sottoscala, nel ventre di un parcheggio interrato multipiano in piazza Einaudi, tra i grattacieli di Porta Nuova. "Un materasso a terra, alcuni flaconi di deodorante, bagnoschiuma e una sorta di tenda da campeggio". Così la vittima della violenza sessuale consumata all’alba di sabato descrive l’accampamento del suo stupratore, dove è stata trascinata contro la sua volontà. Ma quello non è l’unico covo di disperati.

Nella zona, all’ombra di un cantiere dove sta prendendo forma P35, il progetto che trasformerà il palazzo-simbolo del “Centro Direzionale” della Milano degli anni ‘60, ex sede Stipel, poi fusa in Sip e diventata Telecom Italia, che ha occupato l’immobile fino al 2018, non sfuggono allo sguardo i giacigli di senza dimora e disperati. Impossibile non accorgersene camminando in via Tancredi Duccio Galimberti, che sfocia in piazza Einaudi: sotto la “galleria“ che si allunga per pochi metri c’è chi trova riparo in entrambe le strisce di marciapiede.

Quattro materassi a destra e due a sinistra, avendo la piazza alle spalle. Le coperte sporche, gli stracci, i resti di cibo, i cartoni, stridono con il prato a pochi metri dove sono spuntati i fiori di campo, estensione del Parco Biblioteca degli Alberi che si trova al di là di via Melchiorre Gioia. Sotto i piumoni ci sono i rispettivi proprietari che dormono avvolti nelle coltri, in una mattinata fredda nonostante il sole di primavera. Uno di loro si solleva, si stiracchia. Ed è subito infastidito dalla macchina fotografica. Insegue i cronisti, scalzo.

"Niente foto", dice minaccioso avvicinandosi. Si allontana solo una volta avuta la garanzia che il suo viso non sia stato immortalato. "Sabato notte? Non ho visto niente", risponde alla domanda. Poi torna nel suo rifugio sul marciapiede, in balìa del vento. Attorno camminano cittadini che portano a spasso i cani, impiegati che escono dagli uffici per la pausa pranzo. Tutti aggirano quel punto, non volgendo neppure lo sguardo verso i rifugi "ormai presenza fissa", commenta qualcuno dei passanti.

Stessa situazione sotto i tunnel della stazione Centrale, dove gli accampamenti di senza dimora sono ormai una presenza fissa: risorgono sempre, anche dopo gli smantellamenti e gli inviti ad allontanarsi. Meno di un mese fa avevamo osservato i pedoni camminare su un marciapiede solo: all’ingresso delle gallerie allungano lo sguardo verso l’orizzonte per rendersi conto se c’è “il via libera“, dato da nessun materasso buttato a terra e senza disperati distesi sopra. Nel migliore dei casi si salva un tratto su due.

Questa è la normalità attraversando i tunnel della stazione Centrale, non solo quelli più trafficati dai mezzi motorizzati, in corrispondenza dei viali Tonale (sottopasso Mortirolo) e Brianza ma anche gli altri, quelli più periferici, all’altezza di via Fratelli Lumière, Varanini e Spoleto. Ieri, nel sottopasso Mortirolo c’erano i soliti cartoni, con un carrello della spesa e stracci. Stando a quanto raccontato da Abrahman Rhasi, il ventitreenne marocchino arrestato per aver accoltellato sei passanti lo scorso 6 marzo, sotto uno di quei tunnel aveva allestito anche il suo rifugio di fortuna. Agli inquirenti ha spiegato che per vivere si rivolgeva regolarmente ad associazioni cittadine da cui riceveva cibo e indumenti.

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