"Vi porto Rigoletto, buffone tragico che inchioda l’abiezione del potere"

Gamba, direttore-filosofo, sul podio dell’orchestra della Scala nel capolavoro verdiano (con regìa di Martone)

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di Grazia Lissi

"Rigoletto è un uomo sofferente per cui si fatica a sentire empatia: tiene sotto chiave la figlia per proteggerla, ma è una paternità deviata", racconta Michele Gamba, da domani sul podio dell’orchestra del teatro alla Scala per dirigere il capolavoro verdiano, regia di Mario Martone. Nato a Milano, dove vive, un diploma in composizione, pianoforte e direzione d’orchestra al conservatorio Verdi e una laurea in Filosofia all’università Statale, Gamba è considerato dalla critica internazionale fra i migliori direttori d’orchestra della sua generazione, è stato assistente di Antonio Pappano e Daniel Barenboim, ha diretto al Covent Garden, la Staatsoper di Berlino, la Staatskapelle di Dresda, l’Opera di Tel Aviv e tra pochi mesi debutta al Metropolitan di New York. Capace di letture innovative, acute e filosofiche, il giovane maestro spiega che il buffone del duca di Mantova, protagonista dell’opera che s’appresta a dirigere, è "un reietto che tradisce il suo stesso datore di lavoro, un personaggio tragico e senza possibilità di catarsi. Questo è il Rigoletto di Verdi-Piave ispirato al dramma di Victor Hugo, tratteggiato perfettamente da Martone".

Perché ancora oggi Rigoletto è fra le opere verdiane più eseguite al mondo?

"Perché mette in scena tanti punti sensibili di qualsiasi apparato di potere: la pochezza della corte, l’abiezione del potente, il Duca. Alla sua uscita l’opera ha subito così tante censure che in ogni prefettura e città cambiava nome dell’autorità: una volta era il re, un’altra volta il duca. Rivelare un potere lascivo e corrotto dava fastidio, ma alla fine ha vinto la pervicacia di Giuseppe Verdi".

Perché, secondo lei, molte arie dell’opera sono conosciute anche dal grande pubblico?

"Per l’immediatezza della vena melodica. Questo non significa che sono “volgari”: il lirismo è popolare, sono tutte arie nobili, il Duca canta sempre con eleganza e le melodie rimangono impresse nella memoria. Bisogna dare ragione al segno verdiano e aderirvi il più possibile. Pensiamo a “La donna è mobile“: la melodia è enunciata forte, quindi è importante creare contrasto, l’accompagnamento deve essere calibrato all’aria per lasciarla fluire. Un direttore deve saper accompagnare i cantanti, i musicisti; spesso porto i miei nipotini a scuola o li accompagno a casa, al parco, e sul podio cerco di far accadere la stessa cosa, lo stesso tipo di “accompagnamento“".

Quanto gli studi filosofici s’intrecciano alle sue letture musicali?

"Ispirano un metodo. La filosofia insegna a studiare, a pensare. La musica, come la filosofia, obbliga a porsi delle domande. La retorica del segno scritto non si esaurisce in una segnalazione da prendere sterilmente; l’indicazione del compositore, del segno scritto, va analizzata e contestualizzata. Umberto Eco, la semiotica, insegnano che ogni testo deve essere letto con le sue infinite stratificazioni".

Il suo repertorio spazia dalla musica contemporanea, cameristica, sinfonica fino all’opera.

"La contemporanea è un’ottima medicina per rileggere il repertorio del passato: le grandi partiture non esauriscono mai gli aspetti più affascinati e misteriosi".

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