
'Le guerriere' al Teatro Manzoni
Milano, 31 maggio 2017 - Per la prima volta in dieci anni sul palco dell’Ieo per le donne è salito un uomo. Non medico o marito, ma paziente, a raccontare il suo tumore alla mammella. Viene anche ai maschi, sì, si ammala «uno su mille contro sette-otto-nove donne su mille. Non è poco. Ma è un fenomeno nascosto, anche per un discorso culturale», dice Raffaele, sessant’anni, che l’ha scoperto parlando del suo, «non col megafono, ma con gli amici: è come Voldemort di Harry Potter, non viene mai nominato». Perciò propone: «Mettete un pallino azzurro in un angolo del fiocco rosa». S’è operato due volte: 2010 seno destro, l’anno scorso ha tolto il sinistro. Mentre ne parla si commuove e sorride, proprio come le donne, pazienti ed ex dell’Istituto europeo di oncologia per le quali Umberto Veronesi ha inventato questo raduno.
Eri il primo, quello di ieri al teatro Manzoni, dopo la morte del Prof. «Il paziente bisogna amarlo», raccomanda ancora dal video. Paolo, il figlio che dirige la Senologia chiurgica dell’Ieo, ricorda come «amava la sfida, fin da ragazzo»; che quando arrivò all’Istituto dei tumori, «che negli anni ’50 era un luogo di rassegnazione, mise in dubbio quello che si dava per scontato: la sofferenza dei malati, il dover morire di cancro, l’asportazione totale dell’organo». Negli anni ’80, quando la comunità scientifica consacrava la sua chirurgia conservativa, quadrantectomia più radio, lui «cambiava la storia del cancro» e al tempo stesso «diceva, “Ancora vent’anni per sconfiggerlo”. È ancora lì: ha perso la guerra e questo l’ha deluso. Ma credo che abbia vinto tante battaglie: contro il dolore, contro i pregiudizi. La medicina narrativa, raccontare la malattia, è l’eredità più grande che ci lascia».
Così racconta Ivana, organista con la paura di non poter più suonare dopo un intervento invasivo e urgente nel 2009; e invece «con lo studio metodico» applicato alla fisioterapia s’è ripresa il braccio sinistro, la musica «e la vita». Racconta Nicoletta, cui il Prof disse che il suo sorriso era «una delle medicine vincenti». Vent’anni dopo l’ha usata su se stessa, quando il test al Women’s Cancer Center le ha trovato il gene Brca2, trasmesso dal papà, e ha deciso di togliersi seno e ovaie: «Le cicatrici allo specchio cerco di vederle come degli smile». Raccontano donne col fiore in testa che si fanno chiamare «Guerriere», gruppo nato su Facebook ma di mutuo soccorso reale, tra controlli con uscita serale e reciproci «confronti delle tette».
«Umberto Veronesi era una rockstar», ricorda Lella Costa che ha il compito d’intrecciare le testimonianze con le testimonial, donne famose che lo conoscevano prima di diventarne pazienti: Monica Guerritore, Mara Venier cui un anno fa il Prof e Paolo evitarono l’intervento, Mara Maionchi che invece è stata operata. «E siccome son sempre esagerata non ne avevo uno, ma due. Una bella tranvata. Mia madre, la iena, è morta a 99 anni, i miei geni invece si sono fatti fottere dal cancro». Della «carezza» di Veronesi le due Mara offrono spigolature diverse: Venier confessa d’aver scansato per anni le mammografie «rassicurandosi» con le visite estorte al Prof nel camerino di Domenica In. Maionchi, di contro, gli riconosce «un unico difetto: mi toccava il collo. “Cosa fa?” “Sento se c’è qualche ghiandolina...” “Scusi le mani può tenerle in tasca?”». Lella Costa le chiede se il sorriso salva la vita. «Diciamo che aiuta, per salvare è meglio Veronesi».