
Paolo Veronesi
Milano, 5 ottobre 2016 - Con i 10 euro donati si analizza il dna di una paziente che potrebbe essere predisposta al cancro; con 50 si pagano cinque ore di lavoro di un ricercatore. Con l’autopalpazione e i controlli al momento giusto ci si mette nelle condizioni di "prenderlo in tempo", se c’è. Ottobre è il mese della prevenzione del tumore al seno, quello di cui s’ammalano quasi cinquantamila italiane ogni anno. L’87% è sopravvissuta dopo cinque anni, ma se è stanato prima di manifestarsi la percentuale di guarite sale al 98%: l’ha dimostrato uno studio su 1.258 pazienti dell’Istituto europeo di oncologia. Per la Fondazione Veronesi, quest’anno, la campagna d’ottobre "Pink is good" estende la raccolta fondi per la ricerca e l’informazione per la prevenzione anche ai tumori ginecologici, quindi utero e ovaie: "Ci può essere una predisposizione comune, e le persone alle quali ci rivolgiamo sono le stesse. Per la ricerca, passiamo da dieci borse di studio sul tumore della mammella a finanziarne 25 per tutti i tumori femminili".
Professor Paolo Veronesi, direttore della divisione di Senologia chirurgica all’Ieo e presidente della Fondazione Umberto Veronesi, cosa devono fare le donne per prevenire i tumori? "Prevenzione primaria, grazie a corretti stili di vita: praticare attività fisica, non fumare, ridurre il consumo di carne rossa e alcol. E prevenzione secondaria: fare i controlli giusti per facilitare la diagnosi precoce, senza fobie e senza ansie".
Per “prenderli in tempo”. "Pensiamo al tumore della cervice uterina: grazie al pap test e all’esame dell’Hpv oggi nei Paesi occidentali è tra gli ultimi per mortalità, e probabilmente sparirà grazie alle vaccinazioni dal papilloma virus che stanno per essere estese anche ai maschi".
I controlli da fare cambiano solo in base all’età? "No, anche in base al profilo di rischio. Ci sono donne che hanno una predisposizione genetica: il caso più famoso è quello di Angelina Jolie che ha una mutazione del gene Brca1. Ma esistono tante donne a rischio per questa o altre mutazioni genetiche, molte delle quali ancora probabilmente sconosciute".
Quante sono? E come fanno a scoprirlo? "Troviamo una mutazione nel 5-10% delle donne colpite da tumore alla mammella: vuol dire fino a quasi 5mila l’anno in Italia. Purtroppo la maggior parte se ne accorge perché si è ammalata, ma una donna sana può fare un’analisi genetica, rivolgendosi a un genetista. E pensare al futuro, adottando misure preventive che vanno dai controlli fin da giovane, più frequenti e approfonditi, alla scelta, dopo un counselling psicologico, di un intervento di profilassi: l’asportazione delle ghiandole mammarie preservando il seno con la ricostruzione plastica, e più avanti delle ovaie se è predisposta anche a questo tumore".
In quali casi è sensato andare da un genetista? Basta un caso di tumore in famiglia? "Certo che no, ormai pochi non ce l’hanno: diciamo almeno tre tra parenti prossime come mamma, zie, sorelle, ma anche meno se sono tumori bilaterali o in giovane età. Il test genetico oggi è più veloce e meno costoso, in futuro si può pensare di estenderlo a tutte le donne".
Eppure c’è ancora chi muore perché rifiuta la chemioterapia e si rivolge a personaggi che propongono metodi totalmente antiscientifici. "Questo mi dà una grande amarezza. Una persona malata è debole, magari non ha avuto buoni rapporti coi medici, o ha visto un insuccesso, perché ancora purtroppo qualcuna muore, e può cadere nella rete di chi racconta guarigioni “miracolose”, senza mai produrre le prove per validare un’eventuale terapia".
Cosa vorrebbe dire alle donne che hanno paura della cura, oltre che del cancro? "Che l’approccio è cambiato tanto: negli anni ’80 è nata la chirurgia conservativa, oggi parliamo di terapia conservativa, non solo dell’organo ma dell’immagine corporea. Chi si rivolge a una Breast Unit, e tutte dovrebbero farlo, trova un’équipe multidisciplinare, con chirurgo plastico e psicologo, e imposta un percorso che le consente di mantenere il più possibile la qualità della vita: conservazione o ricostruzione immediata del seno. Anche in caso di trattamenti chemioterapici oggi abbiamo a disposizione presidi che evitano o limitano la caduta dei capelli in due donne su tre. E oggi anche con la malattia scoperta in fase avanzata si può vivere per anni, “cronicizzando” il tumore, e con una qualità di vita accettabile".