Truffa tentata e sventata in autostrada

Enrico

Beruschi

Sono sotto la media: in tutto agosto ho fatto meno di 2mila chilometri in macchina, come un italiano medio, ma stanziale; e solo per dovere e non per piacere. Il piacere è stato quello di passare per strade e autostrade con tanti ricordi degli ultimi 50 anni; mi manca la Milano-Torino, ma quella la facevo da impiegato, non da attore (mi raccomando: non voglio darmi delle arie, ma anche i ragionieri hanno un’anima!). Viaggiavo sorridente e mi divertivo a rispettare i limiti di velocità, per quanto possibile. Passata Genova mi avvio lungo la riviera con fare beato: in molti tratti la velocità massima dovrebbe essere 90, nessuno la rispetta e io mi sono impuntato; ad un certo punto una macchina normale, un po’ usata e male in arnese va a 50, rallento e poi la sorpasso: durante l’operazione sento un gran colpo, penso a un sasso schizzato, cose che succedono. Io ho una piccola auto semplice, quelli lì mi sorpassano, mettono la freccia a destra e mi fanno ampi segni di accostare; non capisco, ma aspetto un’area di servizio. Come ci fermiamo, uno strano individuo con cappello di paglia e accento sudamericano, mi accusa di averlo toccato durante il sorpasso e mi mostra un grosso segno sulla mia macchina e uno piccolo sulla sua; io gentilmente vorrei dirimere la questione, il suo passeggero, molto grasso continuava a giocare col telefonino; in fretta e furia mi dice di seguirlo sull’autostrada, dove, più avanti, era fermo suo padre, che stava male: riparte al volo. Spaesato dall’aggressione verbale, mi rivolgo ai gentilissimi benzinai a poca distanza, guardano il mio danno, ma sembra solo uno sporco provocato da un oggetto contundente, ma senza danno vero. Probabilmente è stato il solito trucco, tipo quello dello specchietto, per estorcere del denaro; probabilmente infastiditi dalla gente che ci guardava e qualcuno mi ha salutato, se la sono svignata.

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