
Patteggiamenti, condanne e rinvii a giudizio. Si è chiusa l’udienza preliminare relativa all’inchiesta sulla contraffazione del vino Sassicaia. Il gup del Tribunale di Firenze ha emesso una condanna in abbreviato per colui che è ritenuto il principale artefice dei falsi, un sessantaquatrenne originario della tarantina Laterza e residente a Cinisello Balsamo: dovrà scontare due anni e sei mesi di reclusione. Ratificati anche tre patteggiamenti, con pene comprese tra 11 mesi e un anno e 4 mesi, ai due figli del presunto organizzatore e a un rivenditore del vino fasullo. Infine, il gup ha rinviato a giudizio altre quattro persone: per loro, la prima udienza è fissata il 5 giugno 2023 davanti al giudice della prima sezione monocratica. Le accuse per tutti, a vario titolo, sono: contraffazione di uso di marchi anche aggravato e di indicazione geografiche o denominazione di origine agroalimentari oltre che ricettazione. Secondo quanto emerso dalle indagini della Finanza di Empoli, il vino che veniva imbottigliato come falso Sassicaia era in realtà Nero d’Avola, acquistato in Sicilia.
Le bottiglie provenivano dalla Turchia, mentre etichette, tappi, carta velina e casse erano prodotte in Bulgaria. La produzione si sarebbe attestata su circa 700 casse di vino al mese, per un totale di 4.200 bottiglie, con un introito stimato in circa 400mila euro al mese; l’assemblaggio delle casse avveniva in un magazzino di Paderno Dugnano. La contraffazione sarebbe stata relativa in particolare ad annate tra il 2010 e il 2015. I Loforese, secondo l’accusa, sarebbero riusciti a riprodurre anche uno speciale ologramma anticontraffazione impresso sulle etichette originali del Sassicaia. Perfino la carta velina usata per il confezionamento della bottiglie aveva lo stesso peso, 22 grammi, di quella originale. Avrebbero curato anche la fattura e il colore delle bottiglie, oltre alla dimensione dei tappi, in tutto e per tutto identici agli originali.