Il nuovo dg del Welfare lombardo: "La sfida è curare tutti, da lì nasce la riforma"

Marco Trivelli: "Ora seguire i malati di Covid e non perdere gli altri"

Marco Trivelli, direttore generale della sanità in Lombardia

Marco Trivelli, direttore generale della sanità in Lombardia

Milano, 17 giugno 2020 - Comincia domani Marco Trivelli. Ieri è stato nominato direttore generale del Welfare lombardo, al posto di Luigi Cajazzo promosso vicesegretario della Regione con delega all’integrazione sociosanitaria. Torna a Milano dopo un anno e mezzo (prima era direttore del Niguarda), dagli Spedali Civili di Brescia, dove, come ha detto l’assessore Gallera, "ha vissuto in prima linea la trincea" del Covid.

Dottor Trivelli, è contento? "Non è quello il sentimento. Non sono neanche preoccupato. Direi: teso. Teso ad affrontare un problema che poi è sempre quello della cura; e che in questo momento è curare i Covid, ma anche il non-Covid. Non è che cambi lavoro, perché la responsabilità è sempre curare. Adesso in una dimensione più ampia".

Da un milione di bresciani a dieci milioni di lombardi. "Ma la natura del problema, e la mia tensione personale, sono le medesime. È come fare spazio a un altro figlio in casa".

Qual è il problema più urgente della sanità lombarda adesso? "In questo momento? Il basso volume delle prestazioni ambulatoriali. E non è un problema di tempi d’attesa, ma di sottocura della totalità dei pazienti. Abbiamo dovuto sottocurare per tre mesi, costretti dall’emergenza. Ora si va verso una ripresa delle attività, ma per motivi di prudenza, di cautela rispetto al pericolo persistente rappresentato dal virus, il sistema non riesce ancora a tornare ai volumi di prima. Se questo si protrae, può diventare un problema".

Come se ne esce? "Dobbiamo recuperare: in volume d’attività e in appropriatezza. Qui ci giochiamo la capacità dei nostri professionisti di capire chi ha più bisogno, di individuare le priorità. Qui si gioca il rapporto tra medici di base e specialisti".

Che è stato uno dei grandi problemi per la riforma della sanità lombarda, ed è il banco di prova dell’“integrazione ospedale-territorio“, il grosso obiettivo della sperimentazione di 5 anni che va a tagliando governativo in agosto. "Io credo che il problema teorico dell’architettura istituzionale sia fondamentale, per certi versi, ma la soluzione potrebbe essere suggerita, illuminata, dagli strumenti operativi con i quali gestiremo la situazione di adesso. Dal modo in cui affronteremo questa nuova emergenza, che è sia la capacità di non perdere pazienti per il limite obbligatorio imposto alle prestazioni che possiamo sostenere da qui a dicembre, sia la capacità di curare il Covid. E chi l’ha avuto: i dimessi, i guariti sono una parte anche limitata, rispetto alla popolazione lombarda, ma dato che non conosciamo la malattia - come non la conoscevamo quando erano ricoverati - non possiamo sapere quale sarà il decorso, quindi abbiamo l’obbligo di seguirli uno a uno".

Cosa rischiano? "Non è un rischio acuto, di perdere la vita, ma dobbiamo capire qual è l’evoluzione, se ci possono essere conseguenze permanenti. Dobbiamo monitorarli, uno a uno. E spero che, com’è avvenuto nei mesi del Covid negli ospedali, ci sia una mobilitazione naturale, spinta dall’evidenza, degli specialisti e dei medici di medicina generale. Una comunicazione bidirezionale, un passaggio di consegne, come al cambio turno. Se questo avviene, la riforma nascerà così, dalle cose che si fanno. Non uno schema di legge, ma soluzioni che prendono forma; e quando potremo dire che funzionano, potremo anche dar loro un’organizzazione formale".  

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