I rifiuti di Napoli nei capannoni lombardi: arrestati 11 trafficanti

Incendi per 'ripulire'. E se non c’era posto, tutto in Calabria

I carabinieri davanti a un cumulo di rifiuti sequestrati

I carabinieri davanti a un cumulo di rifiuti sequestrati

Milano, 8 ottobre 2019 - «Se fai tu una scappata da queste parti... perché la persona che ha in mano il tutto, così ti facevo parlare con lui personalmente, non si può muovere». La «persona» di cui parla al telefono Riccardo Minerba, arrestato un anno fa per l’incendio doloso del capannone di Corteolona, è secondo gli inquirenti Angelo Romanello, che in quel momento (la telefonata è stata intercettata il 24 gennaio 2018) «non si può muovere» perché è agli arresti domiciliari. Era proprio lui, il trentacinquenne originario di Siderno – nipote di Antonio Francesco detto “Compare Totò” (della locale di Milano e condannato per Infinito) – già coinvolto in precedenti indagini sulle ’ndrine al Nord come presunto uomo di fiducia di Salvatore Strangio nei cantieri della Perego Strade, il dominus dell’associazione a delinquere smantellata ieri dai carabinieri forestali, sotto il coordinamento dei pm della Dda Alessandra Dolci e Silvia Bonardi.

Stando alle indagini dei militari, che hanno portato all’arresto di undici persone (due in carcere e nove ai domiciliari) tra organizzatori, imprenditori compiacenti e manovalanza, Romanello è stato il regista occulto di un maxi smaltimento illecito di rifiuti sull’asse Campania-Lombardia-Calabria, avvalendosi di prestanome «che devono essere candidi» e riuscendo in soli 10 mesi a impossessarsi di una società storica come la Smr Ecologia di Busto Arsizio; il tutto grazie a «una notevole credibilità sul territorio calabrese, non essendo pensabile che così significativi illeciti smaltimenti siano avvenuti senza il placet delle strutture criminali ivi operanti e controllanti il territorio». Sì, perché stiamo parlando di circa 14mila tonnellate stipate oltre il consentito o spostate con fogli di registrazione fasulli per un guadagno di 1,736 milioni di euro; una cifra che viene fuori se consideriamo i risparmi nel mancato recupero dei materiali provenienti dall’emergenza rifiuti della Campania (100 euro a tonnellata) e negli oneri di smaltimento dribblati con l’utilizzo di capannoni tra Cinisello, Gessate, Cornaredo o di spazi abbandonati come l’ex Snia di Varedo e le due cave in disuso in provincia di Lamezia Terme.

Ad allarmare, oltre al coinvolgimento di personaggi legati a doppio filo alle ’ndrine (Romanello era già stato coinvolto pure nell’indagine “Grillo Parlante”), è anche la facilità degli indagati di procurarsi contatti e siti di smaltimento, anche all’estero: «Termovalorizzatore in Germania con i vagoni direttamente», suggerisce Romanello alla consulente ambientale Sara Costenaro. «Ok ok – replica la donna – volevo capire le tue uscite... eventualmente una discarica in Croazia ti potrebbe interessare?». «Sì, certo». «Allora sono 55 euro più trasporto». E ancora: in un’altra conversazione captata dagli investigatori, Maurizio Bova, l’uomo di fiducia di Romanello a Lamezia, dice a Minerba (non colpito da misure cautelari in questo filone) che «possiamo avere accesso al termovalorizzatore di Dusseldorf... quantità illimitate... secondo me su ferrovia dobbiamo farli viaggiare». E Minerba: «Sì sì, no no, su ferrovia ci vuole troppo tempo... iniziamo con i camion poi trasformiamo in ferrovia...». Tutti erano consapevoli di quello che stavano facendo, anche i dipendenti delle aziende finite nel mirino: «Ma di clienti regolari io mai uno?», scherza Costenaro al telefono con Mauro M. E l’altro: «Benvenuta nel club! Ma secondo te scusa... uno che si mette a fare un lavoro del genere o è un degenerato di suo o è uno ’ndranghetista...».

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