SIMONA BALLATORE
Cronaca

Tra vuoti normativi e paure: "È un diritto, non una moda"

Il pedagogista Mantegazza: meno burocrazia, semplificare il percorso

"È un diritto essere riconosciuti per la persona che si è. La carriera alias dovrebbe essere introdotta in ogni scuola come chiedono gli studenti: non lede il diritto di altri, non si toglie nulla a nessuno". Raffaele Mantegazza (foto) è pedagogista dell’università di Milano-Bicocca.

Sono 260 le scuole italiane che hanno già un loro regolamento, 34 in Lombardia. Martedì se ne tornerà a discutere in Consiglio regionale. La mozione per l’abolizione della carriera alias è stata ripresentata, per la terza volta...

"E si sta usando ancora un linguaggio sconcertante: nessuno può giudicare persone che stanno facendo un percorso, che si stanno interrogando su loro stessi. Non può farlo la scuola, non può farlo la politica. Parliamo poi di ragazzi in età di evoluzione, nessuno può imporre dall’esterno categorie, neppure di genere".

Cosa ha significato, concretamente, per i ragazzi che ne hanno già fanno richiesta?

"Vivere il più serenamente possibile questo momento di passaggio, anche a scuola. Evitando discriminazioni e anche episodi di bullismo. Il fenomeno della transizione di genere è ormai riconosciuto a livello mondiale, il nome semplifica passaggi, abbassa il tasso di sofferenza e di disagio. Nessuno può giudicare o parlare di normalità e anormalità. Ciascuno vive la propria normalità".

Nella mozione ripresentata da Fratelli d’Italia si dice che si rischia "confusione".

"Non esiste alcun tipo di contagio sociale. Stiamo parlando di processi profondi che avvengono in alcuni ragazzi e ragazze. Bisogna riconoscere un’ulteriore sfumatura dell’identità senza paura che questo possa provocare fenomeni imitativi. Non è una moda. Non sono ragazzi che si sono alzati un mattino e hanno detto: “Cambio genere“. Iniziano un percorso di auto-ascolto accompagnati anche da genitori. È importante che venga riconosciuta la fluidità e la possibilità di uscire da categorie. Non è confusione, è complessità".

Tema divisivo: da una parte si chiede l’abolizione, dall’altra l’estensione. In mezzo c’è un vuoto normativo?

"Assolutamente sì, sono aspetti recenti, emersi anche grazie ai ragazzi e alle loro famiglie che hanno posto la questione alla pubblica attenzione, ma l’Italia si deve mettere al passo con le altre legislazioni europee. Bisogna legiferare, ma per minimizzare le fatiche e le sofferenze. Io ritengo che la carriera alias debba essere un diritto sancito di default. Non deve essere richieste ’per favore’, ma riconosciuto, facilitato, semplificato, limitando anche le fatiche burocratiche".

Anche in alcune università che già avevano approvato la carriera alias, come la Statale, è stato tolto il certificato dello specialista. Giusto o no?

"Sì. Si deve evitare una medicalizzazione e una patologizzazione. E si devono evitare giudizi. Capisco che il tema scateni battaglie ideologiche, ma non si dica che si vuole togliere un diritto per fare il bene dei ragazzi. Perché non è così".