
Simone Tiribocchi a pesca col figlio
Milano, 16 maggio 2018 - «Fra qualche mese iscriverò mio figlio ad una scuola calcio, non appena avrà compiuto 6 anni. Lui vuole giocare, e se è questo che desidera non posso impedirglielo anche se i dubbi che avevo prima li ho ancora. È un ambiente che ho frequentato per tanti anni e adesso non lo riconosco più...». Parole di Simone Tiribocchi, 40 anni, uno cresciuto pane e pallone segnando gol con la maglia del Chievo, del Lecce, del Torino e dell’Atalanta.
Un suo sfogo sul sito “toronews” è rimbalzato fragorosamente sui social: perché proprio lui, bomber con la faccia da duro, uno che ha fatto la gavetta prima di arrivare sul nobile palcoscenico della serie A, “invitava” il suo bambino a «stare alla larga» dal mondo del pallone. «Non fa che ripetermi: “Papà voglio giocare a calcio”. Io invece lo porto nella natura a pescare. Ma ora lo accontenterò. Spero solo che certe parole siano viste e lette in modo positivo. Quella lettera per mio figlio è ciò che ogni genitore vorrebbe scrivere e consigliare al proprio ragazzo, di vivere il calcio in maniera pulita. Certo, se lo dice un ex giocatore di serie A fa più scalpore, perché in Italia manca il coraggio di denunciare». In effetti le accuse del Tir sono pesanti, perché non è altro la conferma (da parte di un addetto ai lavori) di ciò che anche su questo giornale andiamo sostenendo da tempo: «Le società cercano solo i risultati. Arrivano dei procuratori, anche negli Allievi, ti dicono “questo ragazzo deve giocare” e ti danno 30.000 euro. O alcuni allenatori che pagano 40.000 euro per essere assunti. Tutti sanno che nelle giovanili succede questo, ma nessuno fa nulla». Tiribocchi all’inizio della stagione allenava la Primavera del Chievo. Poi, a gennaio, la “separazione”. Forse perché è diventato un personaggio troppo scomodo? Forse perché dire certe verità può costare caro? «Questo non lo so - sorride amaro l’ex attaccante -. A me piacerebbe allenare i giovani, aiutarli. So però che da oggi sarà ancora più dura dopo il mio sfogo. Succede quando si dice la verità... però almeno un domani mio figlio potrà essere orgoglioso di suo padre». Lottava in campo, mostra coraggio fuori dal rettangolo verde, il Tir. E avverte i papà e le mamme: «Cari genitori, piuttosto che pagare per veder giocare i vostri figli, portateli in giro per il mondo con quei soldi, li rendereste più felici. Il pallone ti può dare soddisfazione solo se fai grandi sacrifici, ma pagare proprio no. E chi accetta quel denaro è ancora più in difetto...». Tiribocchi ha toccato la parte più “marcia” del calcio, quella che vorrebbe eliminare, perché ci vuol poco a sporcare l’ambiente: «Basta un direttore sportivo un po’ spregiudicato, fa comunella con un procuratore, vanno in Nigeria, prendono dieci ragazzi, li fanno giocare in C e dopo un anno magari uno esplode e loro ci fanno una super plusvalenza. Ma sarebbe più facile destinare dei soldi al settore giovanile obbligatoriamente».
Per fortuna non funziona dappertutto così. E Tiribocchi esalta il volto felice e pulito del calcio nostrano a livello giovanile: «Se da una parte ci sono tanti allenatori dei vivai che scaricano i filmati da internet per pianificare gli allenamenti senza sapere se quell’esercizio abbia un senso per la propria squadra, dall’altra ho visto pure come lavorano a Bergamo, non puoi dire “guarda che..., l’Atalanta ha giocatori forti“. Lì si fanno le cose in un certo modo, poi è logico che ogni anno vendono un giocatore da 20 milioni. Invece adesso si pensa solo al risultato, e non alla crescita dei ragazzi... e se alleni anche i bambini in funzione solo della partita quando arrivano in prima squadra sono esauriti mentalmente».