Piazza Fontana, cinquant'anni dopo: la battaglia del "Giorno" per la verità/ FOTO

Il racconto di Vittorio Emiliani, giornalista e scrittore, e il ruolo del nostro quotidiano. Le "fake news" del potere e il lavoro dell'informazione. Con poche eccezioni: ecco quali

Dal "Giorno", 16 dicembre 1969 funerali vittime strage di Piazza Fontana

Dal "Giorno", 16 dicembre 1969 funerali vittime strage di Piazza Fontana

Milano, 12 dicembre 2019 - Dalle pagine e pagine dedicate ai 50 anni della strage di piazza Fontana a Milano emerge un dato di fondo: i servizi segreti, non deviati, ma di Stato furono prontissimi, fulminei direi, nel salire in massa a Milano, a connettersi con i vari Guida e Allegra della locale Questura, a far sparire quante più prove era possibile e a orchestrare il depistaggio sistematico fino a costruire la falsa “pista anarchica”, le “piste rosse”, eccetera. Questa rete di copertura dei veri responsabili e di contemporaneo sviamento delle indagini (quelle vere) fu però reso possibile anche da un atteggiamento quasi generale dell’informazione, scritta e televisiva, ossequiente verso il potere, obbediente alle veline o alle conferenze-stampa fasulle, fin dalle prime ore.

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Con una sola eccezione fra i quotidiani indipendenti, quella del Giorno diretto da Italo Pietra fino al 1972 e, fra i settimanali, L’Espresso diretto da Gianni Corbi fino all’aprile 1970 e poi da Livio Zanetti a lungo. Non molto di più fra i fogli di tiratura elevata (il Giorno, dove lavoravo, stava oltre le 200.00 copie, superandole di molto col Giovedì dei ragazzi e la domenica). A poche ore dalla bomba il Giorno titolò a tutta pagina “Infame provocazione”, mentre il titolo del fondo di Pietra era “Non prevarranno”. Di qualunque parte essi fossero. Ma a noi era chiaro che erano di estrema destra.  Fu la base politica per costruire subito una linea da vero giornale d’inchiesta laico, democratico e antifascista – qual era il nostro – che non prestava fede alle versioni “ufficiali”, ma, correndo dei rischi certamente, le contestava, le smontava, le sbugiardava. Protagonisti di questa operazione quotidiana furono Marco Nozza, Corrado Stajano (che aveva soltanto un contratto di collaborazione), Guido Nozzoli, Manlio Mariani e, soprattutto sul piano dei commenti, Giorgio Bocca che tuttavia forzava per una sua interpretazione, dichiarata anche in pubblico (la Cia ha messo le bombe), sulla quale il direttore Pietra scuoteva la testa alzando gli occhi al cielo.

Poi la morte in Questura dell’anarchico vero e serio Giuseppe Pinelli, detto Pino, animatore del Circolo della Ghisolfa. Al Giorno sollevammo dubbi fortissimi su quella “morte in Questura” al punto che oltre cento redattori (la totalità in pratica) pubblicarono poi per alcuni anni un necrologio che suonava come un ammonimento, con tutte le firme: “morto in Questura”. Questo per disegnare il panorama dell’informazione milanese schierata largamente con le versioni ufficiali - e quindi ignorando o fingendo di non vedere i depistaggi ora documentati in maniera impressionante dalle carte “desecretate” - con l’eccezione del Giorno (soprattutto finché ci fu Italo Pietra alla direzione, cioè fino al 1972 e però Marco Nozza continuò a battersi con grande coraggio e sofferenza) e dell’Espresso. Fu dunque un miracolo laico se quei pochi giornalisti, quelle poche testate, riuscirono a valorizzare il paziente lavoro nel Veneto del giudice di Treviso, Giancarlo Stiz il primo a individuare e a connettere la trama “nera” dei Freda e dei Ventura.

Ecco le pagine che "Il Giorno" ha pubblicato in quegli anni a firma, fra gli altri, di Italo Pietra, Marco Nozza e Giorgio Bocca

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