ANDREA GIANNI
Cronaca

Vivere a Milano con 1.100 euro. La storia di Felice, barelliere all’Humanitas: “Solo per l’affitto 650 euro, campo d’aria”

L’intervista: “Dovremmo fermarci tutti, smettere di lavorare e di fare straordinari, con un’azione sindacale forte. Solo così capirebbero che gli stipendi vanno subito alzati”

Felice Rocco

Felice Rocco

MILANO – “Dovremmo fermarci tutti, smettere di lavorare e di fare straordinari, con un’azione sindacale forte. Solo così, bloccando i servizi, capirebbero che gli stipendi vanno subito alzati, perché i lavoratori non ce la fanno più”. Felice Rocco, 50 anni, è uno dei barellieri dell’Humanitas di Rozzano, assunti da una società esterna che fornisce il servizio all’istituto clinico.

“Il mio ultimo stipendio è stato di 1.100 euro – racconta – praticamente vivo d’aria”. Condizioni comuni a quelle dell’esercito di lavoratori nella catena di appalti e subappalti delle strutture sanitarie, dove gli unici dipendenti diretti sono medici, infermieri e personale dell’amministrazione.

“Faccio questo lavoro da 25 anni – racconta Felice – e ho visto peggiorare le condizioni. Gli stipendi sono bassi, assolutamente non in linea con il costo della vita. Nel mio caso, ad esempio, solo per l’affitto spendo 650 euro al mese, e avendo figli da mantenere non resta attaccato nulla, non si riesce neanche a far fronte alle spese essenziali. Un nuovo assunto prende una paga di 900-950 euro, con un part time all’85%. Ho visto anche persone assunte per 13,45 ore alla settimana. In questo modo siamo obbligati agli straordinari, che nel nostro settore si chiamano supplementari. Ci sono colleghi che si ammazzano di lavoro per portare a casa pochi euro in più”.

Un lavoro duro, faticoso e delicato, tutti i giorni a contatto con i numerosi pazienti che popolano la struttura sanitaria. “Lo stress è elevato – sottolinea Felice – e tanti problemi restano irrisolti. La soluzione? Agire sui contratti di lavoro e alzare finalmente gli stipendi, creando condizioni dignitose perché così non si riesce a stare in piedi. Dovremmo fermarci, far sentire concretamente la nostra voce. Solo così, creando un problema al sistema, si potrebbe ottenere qualcosa”.