Milano, un soldato libico curato anche al Niguarda

Trasferito dal San Raffaele e ricoverato per oltre un mese in terapia intensiva, aveva gravi ustioni provocate da una bomba

Scene quotidiane durante la guerra civile in corso ormai da anni in Libia

Scene quotidiane durante la guerra civile in corso ormai da anni in Libia

Milano, 12 febbraio 2020 - Almeno uno dei feriti di guerra libici arrivati l’estate scorsa per curarsi a Milano è stato ricoverato anche all’ospedale Niguarda. A quanto Il Giorno apprende, il paziente, di 29 anni, è stato trasferito nella seconda settimana di agosto dal San Raffaele al Niguarda, che è il centro di riferimento per i grandi ustionati. Il soldato, che aveva ferite gravissime provocate dall’esplosione di una bomba e in Libia aveva già subìto anche l’amputazione di un braccio, è stato ricoverato per oltre un mese nella terapia intensiva dell’ospedale pubblico, in regime di solvenza, vale a dire a spese del governo libico e non del servizio sanitario nazionale, per trattare le gravi ustioni sulla metà del corpo e le fratture agli arti provocate dallo scoppio di un ordigno, che gli ha causato pure lesioni interne.

I soldati libici curati in Italia a spese di Tripoli sono diventati un caso il mese scorso, quando due miliziani, accusati d’aver accoltellato un connazionale, sono stati prelevati all’hotel Rafael, albergo di solito utilizzato dai parenti dei pazienti del San Raffaele, probabilmente da alcuni diplomatici libici, e rimpatriati in tutta fretta, quando avrebbero dovuto rimanere a disposizione dell’autorità giudiziaria. I due miliziani infatti erano indagati per lesioni aggravate e porto di coltello per aver ferito un altro soldato che come loro era arrivato in Italia per curarsi nell’ospedale di via Olgettina, sulla base di un accordo tra l’Ambasciata libica presso la Santa Sede e il Gruppo ospedaliero San Donato, di cui fa parte il San Raffaele.

La sera del 15 gennaio Mohammed Abdulhafith, 32 anni, era arrivato al pronto soccorso di via Olgettina con ferite da coltello a una gamba e alla schiena. Lui stesso, sentito quella sera dalla polizia, avrebbe dato indicazioni sui presunti autori dell’aggressione, che sarebbe avvenuta per futili motivi (una lite per poche decine di euro) all’interno dell’albergo dove i tre alloggiavano nell’ambito del progetto riabilitativo. Ma prima che i poliziotti potessero sentirli, Mohamed Aleiwa e Hassan Errahim hanno lasciato la loro stanza al Rafael (nella quale sono stati trovati un chilo e 800 grammi di polvere bianca, poi risultata farina), sono stati condotti in auto a Roma e da lì imbarcati su un volo per Tripoli.

Su questa sparizione la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta, coordinata dal capo del pool antiterrorismo Alberto Nobili e affidata alla Digos. Da quanto si è appreso il consolato libico, il cui massimo rappresentante è stato sentito dagli inquirenti, ha sostenuto che i due miliziani sono stati immediatamente rimpatriati proprio in virtù del loro comportamento, incompatibile con le finalità del progetto che aveva consentito loro di trasferirsi temporaneamente a Milano. Gli investigatori hanno avviato approfondimenti sull’accordo stretto l’anno scorso – e annunciato pubblicamente con l’arrivo dei primi pazienti in estate – tra l’Ambasciata libica in Vaticano e il Gruppo ospedaliero San Donato, con l’obiettivo di curare militari libici feriti negli ospedali privati del gruppo come pazienti a pagamento (solventi), a spese del governo di Tripoli.

In seguito, a fine gennaio, l’Ats Metropolitana, sulla scorta di una segnalazione, ha condotto due ispezioni negli ospedali del gruppo privato accreditato col sistema sanitario nazionale e ha trovato 18 pazienti libici al San Donato e 5 al San Raffaele ricoverati come paganti in reparti che sulla carta erano a disposizione del servizio sanitario lombardo, "senza aver chiesto l’autorizzazione a modificare l’assetto accreditato a contratto", ha chiarito la Regione a seguito di un’interrogazione al Pirellone, spiegando che il Gruppo San Donato sarà sanzionato per questa violazione della normativa, e che le verifiche proseguono per capire "quanti pazienti libici siano stati complessivamente ricoverati in questi mesi".

La spy story in salsa libico-meneghina è approdata anche in Parlamento, con un’interpellanza della senatrice radicale Emma Bonino, che ha chiesto al ministro degli Esteri Luigi Di Maio "come sia stato possibile realizzare tale corridoio sanitario, anche considerato che, nel già controverso rinnovato accordo bilaterale Italia-Libia, non se ne fa alcuna menzione", e l’ha invitato a riferire "quanto prima in Parlamento in merito a tali intese con la Libia ed eventualmente con altri Paesi attualmente coinvolti in conflitti, chiarendone i termini e rendendo pubblici i numeri delle persone curate in Italia fino a questo momento".  

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