Il teatro che resiste nel cuore di Kiev

Nataliia Vainilovych e la scuola di Playback: "Così ricreiamo comunità. Ma cerchiamo alleati dell’arte"

Nataliia (Nata) Vainilovych, 36 ann

Nataliia (Nata) Vainilovych, 36 ann

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Milano - La resistenza del teatro, nonostante le bombe. Nonostante la sirena dell’allarme anti-aereo, che risuona ancora nelle orecchie, che scandisce i tempi di Kiev. Nataliia (Nata) Vainilovych, 36 anni, è sempre rimasta in Ucraina. È attrice, artista, insegnante e sociologa. "Perché rimanere? Penso a mia nonna, che non vuole andarsene: ha visto passare la seconda guerra mondiale, ha visto questa guerra. Che non è cominciata a febbraio come si dice troppo spesso. Ma nel 2014. Da allora è stata un’escalation continua. Resto per lei, per gli affetti. Perché è un bisogno che sento dentro. Perché non sempre è più semplice partire e lasciarsi tutto alle spalle, andando forzatamente in un Paese che non si è scelto. Tantissimi ucraini non volevano partire ma l’hanno fatto solo per i figli e vorrebbero tornare. In Ucraina c’è chi è costretto a stare a casa sotto le bombe e chi è costretto ad andarsene: entrambi ostaggio di questa terribile guerra. Resto per sentirmi utile qui".

Anche col teatro. A cominciare dal suo Playback Theatre.Teatro d’improvvisazione. Teatro di vite umane. "Ci si sente parte di una comunità – spiega –, si ricostruisce un’identità. Si ricuciono relazioni". Teatro terapeutico? "Lo sarà, diventerà una risorsa anche dal punto di vista psicologico, ma non ora, è troppo complicato anche rispondere alla domanda 'Come stai?' – risponde Nata – Prima di tutto adesso deve dare supporto alla comunità. Essere storia collettiva. Deve creare reti. Playback Theatre è diventata una famiglia, ci sentiamo tutti parte di questa situazione terribile".

Da subito è stata lasciata una raccolta fondi per supportare le persone più in difficoltà collegate alla scuola e non solo (Foundation of Ukrainian School of Playback Theatre), sono stati distribuiti medicinali diventati introvabili e generi di prima necessità. Mentre si continua ora con la formazione a distanza. E si cercano contatti per gli artisti e gli operatori dello spettacolo che continuano a lavorare dalle diverse città ucraine, per permettere loro di collaborare con persone che si occupano di televisione e cinema, con sceneggiatori, produttori. "Stanno vivendo un trauma ed è difficilissimo per loro oggi essere creativi, dar vita a storie non per forza sulla guerra – spiega Nata – Abbiamo bisogno di supportarli e di dare loro un contesto diverso".

Si cercano nuove alleanze anche con Milano e le altre città europee, mentre si continuano a disseminare voci amiche per chi è rimasto, per chi ha perso tutto, per chi di punto in bianco, anche nella capitale ucraina, si è trovato a dormire in metropolitana. Come lei. "O per chi è tornato oggi al lavoro e sembra essersi abituato a quelle sirene e al non sapere domani che succederà. Si è come assuefatti, fa parte anche questo dell’assurdità della guerra", racconta Nata. Che anche tramite le sue fotografie e i video, cerca di raccontare quello che sta succedendo: cronache dalla guerra, spiragli, ombre. Parallelamente prosegue il suo percorso personale d’artista. Nataliia Vainilovych ha partecipato a “UntTuchAble, stream-art performance festival”, in collegamento via streaming con artisti di tutto il mondo, da Milano alla Turchia, da Kiev al Belgio. Russia esclusa per questa edizione.

"L’arte non è neutra. Anch’io prima dicevo sempre che costruiva ponti – ripete l’artista – E li costruirà. Ma non ora. Ho amici artisti russi anch’io, che non sarebbero a favore del conflitto. Ma non è ancora tempo di progetti comuni purtroppo, anche perché si finisce per sostenere, con le loro tasse, questa maledetta guerra". Il ricavato del Festival è stato dedicato all’Ucraina. Come lo saranno tutte le prossime iniziative. E Nata ha cercato di dare forma anche all’assurdità e all’atrocità della guerra attraverso il suo corpo e i cinque sensi degli spettatori con “Vis-a-vis”. Un progetto che continua con nuove performance in streaming e anche in una tela collettiva. Dando forma alla rabbia sul tessuto, dandole sfumature, voci, rumori, nomi per non nasconderla e tenerla dentro, per trasformarla, per resistere. "Le performance le faccio anche per me – confessa –. Per vivere anche quello che sta accadendo, liberare, riflettere. Per sentirmi viva".

 

 

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