
Scompenso, 26mila ricoveri l’anno: "Far arrivare a tutti le nuove terapie"
Più di ventiseimila ricoveri ogni anno in Lombardia, con una percentuale di ri-ospedalizzazione del 13,7% e una mortalità del 9,2% a trenta giorni: parliamo dello scompenso cardiaco, patologia cronica in forte aumento. In Italia colpisce più di un milione di persone ed è la causa principale per cui si finisce in ospedale dopo i 65 anni; dopo gli 80 ne soffre più del 20% degli individui (uno su cinque), e se non è trattato adeguatamente peggiora e ha un esito fatale nella metà dei pazienti entro cinque anni dalla diagnosi. Questi numeri sono emersi durante la convention nazionale dei Centri scompenso cardiaco, venerdì e sabato a Palazzo Mezzanotte, dove i cardiologi ospedalieri della società scientifica Anmco hanno fatto il punto prevenzione e nuove terapie.
Che ci sono: "Sta cambiando lo scenario, negli ultimi anni sono state implementate terapie farmacologiche e possibilità di intervento non farmacologico che migliorano la prognosi - spiega Fabrizio Oliva, direttore della Cardiologia I del Niguarda e presidente dell’Anmco –. Iniziando uno schema terapeutico dopo i 55 anni si potrebbe garantire al paziente otto anni di vita in più rispetto alla terapia precedente; dopo i 65 anni, sei anni di vita in più". Ma per farlo è altrettanto fondamentale la gestione clinica e assistenziale di chi soffre di questa patologia "che potremmo dire “cronicamente acuta“ - spiega il cardiologo del Niguarda -, perché non esistono pazienti a basso rischio. Servono modelli assistenziali innovativi che mettano in contatto più stretto il territorio con l’ospedale, perché sarà sempre di più il tempo che il paziente passerà a domicilio".
Un altro aspetto, sottolinea il dottor Oliva, "è la definizione del rischio di morte cardiaca improvvisa" per chi soffre di scompenso, utilizzando "le tecniche di imaging avanzato, l’ecocardiografia" e altre metodiche "come la risonanza magnetica". Anche qui, la telemedicina e il modello delle case di comunità reso possibile dal Pnrr sono l’occasione per "una riprogrammazione della medicina territoriale" che metta "in contatto più stretto il medico di famiglia, il cardiologo e altre figure come l’infermiere, per creare una risposta efficace e immediata al paziente che si rivolge al servizio sanitario nazionale".