I bimbi possono portare la schiscetta a scuola

Accolto il ricorso della madre di un alunno con disturbi alimentari: il Tar cancella le circolari del comprensivo Cardarelli-Massaua

I giudici del Tribunale amministrativo hanno accolto il ricorso della madre di un alunno

I giudici del Tribunale amministrativo hanno accolto il ricorso della madre di un alunno

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Milano, 12 gennaio 2021 - Un’interpretazione troppo estensiva, e quindi errata, di una sentenza della Cassazione. La battaglia di una mamma per tutelare la salute del figlio. E un altro verdetto, del Tar, a chiudere la partita. Sono questi gli ingredienti della storia che vi stiamo per raccontare, che affronta un tema caro a molte famiglie e oggetto da anni di accese discussioni. La domanda: può un bambino mangiare a scuola il cibo preparato a casa invece di quello che la maggior parte dei suoi compagni riceve dal servizio mensa? Sì, per i giudici amministrativi della Lombardia, pur con alcune limitazioni legate alla capacità organizzativa e alle scelte del singolo istituto. 

La vicenda inizia il 13 settembre 2019, quando il dirigente scolastico del comprensivo Cardarelli-Massaua comunica alle famiglie via circolare «che la sentenza della Corte Suprema di Cassazione del 30/7/2019 numero 20504 ha disposto che non sarà consentito ai bambini consumare il pasto da casa». Il 2 ottobre, poi, lo stesso preside invia una nota ai genitori di un alunno affetto da un disturbo del comportamento alimentare per negare l’autorizzazione al consumo della schiscetta, revocando di fatto l’autorizzazione precedentemente concessa il 18 giugno (prima del verdetto degli ermellini).

Due giorni dopo, la madre del bimbo presenta ricorso al Tar per ottenere l’annullamento degli atti. Ieri è arrivata la decisione del collegio presieduto da Ugo di Benedetto. In via preliminare, i giudici hanno confermato l’orientamento della Cassazione, che nel 2019 ha stabilito che l’autorefezione non è un diritto perfetto e assoluto, bensì un diritto procedimentale, «condizionato cioè all’organizzazione che decide di darsi, in modo procedimentalizzato e coerente con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, il singolo istituto scolastico».

E ancora: la possibilità, «in presenza di particolari e concrete situazioni di non rispondenza all’interesse pubblico», di negare allo studente che ha portato il cibo da casa l’accesso «allo stesso contesto spaziale dove i suoi compagni consumano il pasto gestito dal servizio di mensa istituzionale» non incide «sulla libertà di scelta alimentare del minore e della sua famiglia». Detto questo, i due provvedimenti del preside (sostenuto nell’opposizione al ricorso da Milano Ristorazione) sono da considerarsi comunque lesivi, perché hanno sostanzialmente travisato quanto stabilito dalla Suprema Corte, «con conseguente e irragionevole omesso approfondimento istruttorio rispetto all’esistenza di soluzioni utili per garantire al richiedente la possibilità di consumare nei locali scolastici il pasto preparato a casa». Conclusione: sì alla schiscetta.

 

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