Liberi di licenziare, addio a 1.154 posti: esuberi collettivi in 27 aziende lombarde

Allarme autunno: a Milano altri 35mila a rischio

Una protesta per le strade di Milano per chiedere il rispetto dei diritti dei lavoratori e investimenti per il rilancio dell’economia

Una protesta per le strade di Milano per chiedere il rispetto dei diritti dei lavoratori e investimenti per il rilancio dell’economia

Milano, 27 luglio 2021 - Dalla Gianetti di Ceriano Laghetto al polo chimico Bayer di Filago, nella Bergamasca. Dalla Rotork Gears di Cusago al colosso farmaceutico Teva di Nerviano. Lo sblocco parziale dei licenziamenti ha provocato a luglio, secondo i dati della Regione aggiornati al 13 di questo mese e visionati dai sindacati, un impatto su 1.154 posti di lavoro, con 27 aziende che hanno aperto procedure di licenziamento collettivo su tutto il territorio lombardo. A questo si aggiungono i licenziamenti individuali, ancora difficili da stimare. "La maggior parte di questi 1.154 lavoratori è dipendente di una multinazionale che non ha sofferto per le problematiche legate al Covid – spiega Vincenzo Cesare, della Uil Milano e Lombardia – si tratta di operazioni che il sindacato non intende tollerare. Siamo pronti a mobilitarci in ogni sede".

Una perdita importante, anche se è difficile fare un confronto con il periodo pre-Covid. A luglio 2019, considerando tutto il mese, 37 procedure di licenziamento collettivo avevano impattato su 1.401 posti di lavoro. A maggio 2019 erano andati in fumo 1.095 posti, a giugno 433. Ora, però, il divieto di licenziare è caduto solo in settori non direttamente colpiti dalla crisi, come il manifatturiero o l’edilizia, mentre per gli altri resta in vigore. Quasi la metà dei licenziamenti si è concentrata nel metalmeccanico, seguito dal chimico. Per questo i numeri sono ancora contenuti. Il vero banco di prova sarà in autunno, quando il divieto di licenziare dovrebbe gradualmente venire meno anche in settori e aziende impattate dal Covid, con un progressivo ritorno alla normalità dopo lo stato d’emergenza. Settori che già da tempo hanno iniziato tagli del personale, prima non rinnovando i contratti a termine e poi forzando le norme.

Solo nella Città metropolitana di Milano, secondo i dati del Dipartimento mercato del lavoro della Cgil di Milano, nonostante il blocco dei licenziamenti dall’inizio della pandemia sono già andati in fumo 35mila posti. "Altri 35mila potrebbero perdersi dopo il primo novembre, con lo sblocco totale dei licenziamenti – spiega il direttore del Dipartimento, Antonio Verona – portando quindi il totale a 60-70mila. In parallelo ci sono però le assunzioni, con nuovi posti che si creano in un mercato che si sta riassestando". La sfida sarà equilibrare la bilancia. "In autunno prevediamo un aumento dei licenziamenti ma d’altro canto stiamo osservando una crescita della domanda di occupazione", spiega il giuslavorista Maurizio Del Conte, presidente di Afol Metropolitana, a capo dei centri per l’impiego. "Dobbiamo governare questo processo di transizione – prosegue – perché in ogni caso il mercato del lavoro non tornerà all’epoca pre-Covid". Roberta Turi, segretaria generale della Fiom di Milano, sottolinea che "in questa fase diverse aziende stanno gestendo i processi di riorganizzazione con la contrattazione, trovando accordi con noi per prepensionamenti o uscite volontarie. Poi ci sono quelle che forzano la mano, aprendo da un giorno all’altro procedure che violano anche gli impegni presi da Confindustria".  

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro