Saré sù i foss: i pràa hann beù assè

L'anziano Claudio Negri riflette sulla trasformazione della campagna milanese, nostalgico dei tempi in cui i fossi venivano aperti e chiusi con cura. La modernità ha cambiato tutto, persino l'odore del letame. La sua malinconia lo porta a desiderare di perdersi nell'antico orto padano, in cerca di risposte nel passato che sembra ormai lontano.

Negri

Saré sù i foss, bagaj: i pràa hann beù assè. Chiudete i fossi, ragazzi: i prati hanno bevuto abbastanza. Sono vecchio: sento ancora il fittavolo dare la voce, nello scamuffo dialetto dell’est milanese, a un manipolo di famigli sbarbati, addetti alle chiuse. Voce fantasma. E fantasmi anche i famigli, si capisce. La campagna attorno al mio borgo stenta a riconoscermi e io fatico a riconoscerla. Da che mondo e mondo tutto passa, cambiando la disposizione agli atomi dell’universo. Di uno dei tanti universi. Patologia ben nota, la mia: faccio il tifo per una serie vintage di disposizioni d’atomi, volgarmente detta passato. Non so se la campagna che mi vide garzoncello, scherzoso ma non troppo, fosse un’arcadia smaltata di rogge, pioppi e sorgive dolci e gelide; un regno di contadini dai nomi improbabili, intenti a suonare ocarine e zampogne all’ombra di un faggio.

Però i fossi irrigui li aprivano e li chiudevano, eccome. E tutto rispondeva in assonanza, da duemila anni intrisi di acqua, palta, fatica e semente. Come in un verso delle Bucoliche di Virgilio, mantovano volante, che il fittavolo citava ignaro raspando le corde vocali: "Claudite iam rivos, pueri: sat prata biberunt". Le chiuse erano semplici assicelle di legno, al più l’unico vezzo artistico si rappresentava in un manico a punta di lancia. Attorno a quel vezzo, c’era la campagna che mi riconosceva: una campagna umana eppure sconfinata di misteri, tragedie, apparizioni, miracoli, delitti, lune, muggiti di cornamusa e latrati di cane. Non troppo diversa da quella di duemila anni fa. Mi pare che ora, in meno di 50 anni, tutto sia cambiato e non solo per colpa dei capannoni o delle rotonde. Pure l’odore del letame è cambiato. Lo strame non è più quello di una volta. Così accade che non sempre le strade di campagna riportino a casa. Quante volte avrei voluto di proposito perdermi nel vecchio orto padano. Per chiedere lumi a uno di quelli che trafficavano in un fosso, armeggiando una chiusa: "Scusi, da che parte per...". Mi avrebbe sibilato un "A so minga"? Probabile. Oppure, al canto ascendente dell’allodola, avrebbe dispiegato itinerari meravigliosi. Seconda stalla a destra, anche questo è il cammino.

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