“Rohtko“ fra copia e originale. Domande sul senso dell’arte

Twarkowski al Piccolo con lo scandalo dei falsi venduti per milioni a New York

Un ristorante cinese che pare uscito da Blade Runner. Atmosfere digitalizzate, neon chirurgici. Mentre un maxischermo troneggia dall’alto, sopra un teatro in stretto, strettissimo dialogo con le estetiche della contemporaneità. Ragionando di originalità e di copia. È questo e molto altro "Rohtko" di Lukasz Twarkowski (il titolo è volutamente "sbagliato", per sottolineare il concetto di fake), regista polacco erede artistico del guru Krystian Lupa. Produzione imponente. Nata un paio di anni fa sul Baltico, grazie al Dailes Theatre. E che da stasera a sabato arriva al Piccolo Teatro Strehler per il festival Presente Indicativo. Spettacolo atteso, certo fra quelli meno facili da intercettare altrimenti. Ed è sufficiente osservare il trailer per intuire che ci si sta muovendo in un campo da gioco diverso: per gusto, stile, ispirazione. Qui al servizio di un testo firmato dalla quarantenne Anka Herbut. Dove si torna allo scandalo che coinvolse una celebre galleria newyorchese, che per anni vendette come originali una quarantina di costosissime opere dell’espressionismio astratto. Tutte provenienti da una misteriosa collezione privata. Tutte rigorosamente false, visto che in realtà erano prodotte da un professore di matematica cinese, scappato in patria prima dell’arresto.

Fra questi dipinti anche un Rothko, appunto. Venduto per otto milioni di dollari. E che oggi sul palco scatena un diluvio di domande sul senso dell’arte, il suo valore intrinseco, la possibilità di provare emozioni vere di fronte a un falso. "Sono partito dalla mia fascinazione per Rothko – spiega Twarkowski –, anche perché stavo cercando un legame con il Dailes Theatre di Riga e lui era di origini lettoni. Ma in quel periodo lavoravo molto in Cina e mi è venuto naturale riflettere sulle differenze fra la visione occidentale dell’arte e quella orientale, grazie a un saggio di Byung-Chul Han (Dekonstruktion auf Chinesisch) in cui il sociologo sottolinea i diversi significati di alcune parole a seconda della cultura in cui ci si trova: dal concetto di copia a fake, fino all’idea di "originale", invenzione strettamente occidentale. E da tutto questo siamo poi arrivati allo scandalo della Galleria Knoedler, interrogandoci sul senso oggi del termine "originalità" e sul valore di emozioni che scaturiscono con forza di fronte a una copia o a un’opera d’arte digitale, di puro codice". Abbastanza inutile snocciolare i nomi della dozzina d’interpreti. Più interessante osservare la coralità di una visione registica in ricerca costante della bellezza e dell’equilibrio compositivo. Senza mai tralasciare una seducente tensione teorica. Attenzione solo che dura quattro ore, meglio organizzarsi per non andare in calo di zuccheri. Ma le ultime giornate di questa seconda (bellissima) edizione di Presente Indicativo, si sviluppano anche negli altri spazi del Piccolo. Proponendo allo Studio il coro "Mothers. A song for wartime" di Marta Górnicka, mentre al Teatro Grassi il ritratto di Nina Simone firmato dai Fanny & Alexander.

Diego Vincenti