"Ridateci le cose di Imane, cerchiamo la verità"

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A poche settimane dalla sentenza del processo Ruby ter, i familiari di

Imane Fadil, l’ex modella morta a 33 anni per una malattia “estremamente rara e grave”, l’aplasia midollare, vorrebbero riavere dai magistrati le ultime cose della ragazza, in particolare i telefonini da cui potrebbero arrivare, sostengono, informazioni importanti. Poi, dicono all’agenzia Agi, vorrebbero riuscire a far riesumare la salma per un’altra autopsia e far riaprire le indagini all’inizio iscritte per omicidio volontario a carico di ignoti. "Il caso è chiuso - spiega Fatima Fadil, la sorella di Imane - e ci chiediamo perché non ci siano stati restituiti gli effetti personali da cui potremmo avere notizie preziose per capire com’è morta". "Abbiamo bisogno in particolare dei telefonini e delle bozze del libro che sono state sequestrate - interviene il marito -. E i telefonini ce li devono restituire funzionanti perché Imane mi aveva fatto depositare delle cose in una banca svizzera. Per aprire la cassetta che abbiamo affittato c’è bisogno del certificato di morte, che abbiamo, e di un codice o di una sua impronta digitale e il telefono ci servirebbe a questo. Che c’è nella cassetta? Non lo so nemmeno io".

L’ex modella marocchina stava scrivendo un libro nei mesi precedenti alla morte avvenuta il primo marzo del 2019 dopo un mese di agonia all’ospedale Humanitas. "Le bozze sono state sequestrate da tre anni - prosegue il cognato - ma a costo di pubblicarcelo da soli su Amazon, vogliamo che quel libro veda la luce". I familiari credono che qualcuno abbia voluto eliminare Imane per come si era esposta nel processo: "Quando l’hanno portata all’obitorio, un signore mi ha avvicinato: “È 30 anni che lavoro qui e non ho mai visto un corpo ridotto cosi’’. Il cadavere era un pezzo di carbone".

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