Milano, 20enne violentata: sul fermacapelli la traccia che incastra l'aguzzino

Determinante il sopralluogo sul luogo della violenza. Il trentunenne egiziano era sbarcato a Lampedusa a metà luglio

I rilievi sul luogo della violenza

I rilievi sul luogo della violenza

Milano - Le immagini delle telecamere di sorveglianza. L’analisi dei tabulati telefonici. Gli oggetti ritrovati dalla Scientifica sul luogo dello stupro. Pezzi di un puzzle messi insieme uno dopo l’altro dagli agenti della Squadra mobile per arrivare nel più breve tempo possibile alla soluzione del caso. Tempi serratissimi per evitare che quel volto catturato da un occhio elettronico sparisse nel nulla, trasformandosi in un fantasma davvero complicato da riacciuffare. E invece ora quella faccia ha un nome, ammesso che sia quello vero: Mohamud Ahmed Haitham Masuod, egiziano di 31 anni sbarcato un mese e mezzo fa a Lampedusa, fotosegnalato all’arrivo e scomparso dai radar dopo aver regolarmente compilato la domanda da richiedente asilo. È stato lui, secondo le indagini degli agenti coordinati dal dirigente Marco Calì, dal vice Alessandro Carmeli e dal funzionario Achille Perone, a violentare alle 6.10 del 9 agosto scorso una ragazza di 25 anni che stava andando al lavoro al San Raffaele. La giovane, dipendente di una ditta di pulizie, è stata sorpresa alle spalle mentre stava camminando su una strada poco trafficata che di solito alcuni dipendenti dell’ospedale imboccano per accorciare il tragitto dalla stazione della metropolitana di Cascina Gobba.

Masuod, che potrebbe averla seguita sin dall’inizio del percorso a piedi approfittando anche del fatto che la venticinquenne aveva gli auricolari, l’ha aggredita all’improvviso, senza darle il tempo di abbozzare una reazione, e l’ha trascinata in una zona non visibile dalla strada. Lì, in un cunicolo di cemento protetto dagli alberi e dalle auto parcheggiate, l’ha stuprata. Dopo la violenza, è rimasto ancora lì per qualche minuto, mentre la venticinquenne è riuscita a rivestirsi e ad allontanarsi. Arrivata al San Raffaele, ha raccontato alle colleghe cosa le era successo: ferita e sotto choc, ha chiesto aiuto ai medici di via Olgettina, che a loro volta hanno allertato i colleghi della clinica Mangiagalli. Gli specialisti del centro Svs hanno accertato la violenza e inviato la segnalazione in Procura, che ha dato l’avvio alle indagini delegando gli accertamenti del caso ai poliziotti della sezione "Reati sessuali" della Mobile. Determinante il sopralluogo degli esperti della Scientifica, guidati da Anna Maria Di Giulio, che hanno recuperato tracce su un fermacapelli e sugli auricolari che la venticinquenne ha lasciato nel cunicolo, strappati dal bruto. Quel Dna, così come quello isolato dai medici, non ha però fatto match, come si dice in gergo, con quelli archiviati nelle banche dati delle forze dell’ordine. Il lavoro è proseguito sugli altri fronti tradizionali: ore e ore di filmati da visionare, migliaia di numeri di telefono da spulciare. Risultato: il frame di un uomo quasi certamente nordafricano con uno zainetto in spalla e la mascherina chirurgica a coprirgli parzialmente la faccia.

Chi è? Gli investigatori hanno iniziato a scandagliare il mondo dei richiedenti asilo, in particolare degli ultimi arrivati in città. E in quel contesto si sono imbattuti nel profilo di Masuod, che viveva di espedienti e si appoggiava in un appartamento di via Tartini, a Dergano, abitato da un’altra decina di stranieri. Il Dna estratto dal mozzicone di una sigaretta ha finalmente dato la conferma che gli agenti attendevano da un paio di settimane: è lui il violentatore. Il blitz è andato in scena nella tarda mattinata di ieri, a diciotto giorni da quella tragica alba: il trentunenne non ha opposto resistenza. "Una storia di violenza orribile – spiegano in Procura – ma da cui arriva un segnale importante, perché fa capire alle donne che non sono sole". Le indagini sono state coordinate dall’aggiunto Letizia Mannella e dalla pm Rosaria Stagnaro. La Procura ha trasmesso all’ufficio gip la richiesta di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare: è scontato che l’uomo resterà in carcere. Le modalità da spietato predatore e la rapidità delle indagini hanno riportato alla mente un altro caso di violenza di strada altrettanto grave: quello avvenuto al Monte Stella poco più di un anno fa, il 15 luglio 2020. Pure in quell’occasione, la polizia incastrò il violentatore pochi giorni dopo; e nel marzo scorso il ventiquattrenne senegalese Ibrahim Camara è stato condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi di reclusione.

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