
Piero
Lotito
Sono infinite le associazioni di pensiero sulla guerra, quelle che sembrano definire una sola, disperata condizione. La guerra e la fame, per esempio. Mangiare erba e radici, e poi vivere il resto della vita con una fame addosso che non passa mai, anche quando, a pace ritrovata, ci si lascia andare alle gioie della tavola. Come dopo la guerra si desse sfogo nelle osterie della Brianza alle esigenze della pancia troppo a lungo represse, è raccontato da Emilio Magni in un godibile e istruttivo manuale della mangiata in trattoria, "Pulenta e poeucc", edito da Mursia: un tripudio di bisbocce e bagordi nel quale fa appunto da padrona la polenta. Ma perché, si domanda l’autore, tutto questo parlare della polenta? "Perché, come racconta la storia, è un cibo povero che ha sfamato legioni di povera gente. Per questo è chiamata anche la "Santa Polenta"". Quel "cibo povero", oggi manipolato anche nell’alta cucina, è stato davvero per qualche secolo il solo alimento di generazioni di intere famiglie di contadini. Nel suo racconto, ricco di incontri stupefacenti e felliniani, come quelli col vecchio contadino Franco di Bo ("… davanti al camino acceso, il paiolo appeso al gancio sopra i legni ardenti…"), la procace Fedora e poi la sciura Lisa, "cuoca eccelsa" della leggendaria taverna del "Falcone" ad Alserio ("La cantina era come un immenso tabernacolo, scuro, umido, freddo anche a luglio e in fondo al quale sgorgava, di fianco a un reggimento ben schierato di bottiglie, una delle molte sorgenti di cui è ricco quel territorio"), Magni descrive anche il suo avvicinamento al gruppo naturalistico della Brianza e la conseguente, stoica rinuncia al pezzo forte di quella cucina, la polenta con gli uccelletti. "Cominciò a stringermi il cuore pensando che quegli eccezionali corpicini, esili e leggeri protetti dalle piume ma con dentro una forza così grande da sorvolare migliaia di chilometri di terre e di mari con quel fiuto e quell’intelligenza di sapersi orientare e destreggiarsi, andavano miseramente a finire nella padella della sciura Lisa per la gioia di una congrega di spietati ghiottoni". Il libro, insomma, è firmato da un pentito della "pulenta e osei".