Milano, l'esperto: "Essere primi non basta. La città non cada nell’errore di isolarsi"

ll professore di Demografia della Cattolica: il capoluogo lombardo vivrà un’ulteriore crescita solo se saprà relazionarsi con il resto del sistema

Alessandro Rosina docente demografia università Cattolica di Milano

Alessandro Rosina docente demografia università Cattolica di Milano

Milano, 26 novembre 2019 - «La metropoli è cresciuta, si è consolidata, ha creato aspettative positive, ha dimostrato la sua capacità attrattiva e di confronto con le migliori realtà europee e mondiali. Adesso deve capire che non può crescere ulteriormente se non lo fa assieme con il resto del sistema Paese. Per svilupparsi ancora, Milano non può più ragionare in ottica di città-stato. Deve diventare la punta più avanzata e l’avanguardia del futuro dentro un sistema Paese con cui ha un interscambio positivo». Lo afferma Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia alla facoltà di Economia dell’università Cattolica di Milano. Secondo l’esperto è nell’interesse della stessa città uscire da una logica «solitaria»: «Milano non deve diventare un’anomalia dentro un Paese in declino, un’oasi dentro un deserto. Questa è una debolezza che la città rischia prima o poi di pagare».

Qual è la sua lettura dell’impetuoso processo di crescita che interessa il capoluogo lombardo? «Milano è la città che meglio è riuscita a posizionarsi rispetto alle possibilità di sviluppo e inserimento nei grandi processi di trasformazione di questo secolo. Ha attirato energie consapevoli che qui possono provare a realizzare le proprie idee, a mettere in campo le proprie competenze in un contesto che incoraggia a farlo. Un capitale umano – è bene precisarlo – che se non fosse venuto a Milano sarebbe andato direttamente all’estero, non sarebbe rimasto nel suo paese di origine».

Qual è il problema allora? «La questione è che Milano è rimasta in questi anni troppo concentrata su se stessa. Si è messa in relazione con le città più dinamiche europee e mondiali, creando rapporti istituzionali, di business, di scambi universitari. Ma ha avuto poca attenzione a trasformarsi in valore aggiunto per il Paese, a diventare traino perché tutta l’Italia potesse avanzare».

Cosa dovrebbe fare? «Milano dovrebbe creare relazioni con alcune realtà dinamiche del territorio italiano, città del centro e del sud, creando progetti-ponte di vario ordine, dall’economia alla cultura, consentendo a queste realtà di agganciarsi alla spinta che Milano può dare. Il link può essere fornito da quei giovani che dal sud emigrano nel capoluogo lombardo e possono agevolare questo processo, soprattutto se sono piccoli imprenditori. Sono la connessione più forte fra Milano e la realtà da cui provengono perché conoscono entrambe».

Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha detto ieri appunto che la città «vuole mettere la sua esperienza a disposizione del Paese». E ha pure aggiunto: «A chiamata, risponderemo». È l’atteggiamento giusto? «Servirebbe una connessione più attiva, non aspettare la chiamata».

Non si rischia di rallentare la crescita della metropoli? «Nessuno pensa che Milano debba rallentare perché il resto del Paese non stia troppo indietro. Il processo deve essere vincente per entrambe le parti. Il sud non è solo calma piatta. Ci sono molte cose che possono essere sperimentate nel territorio italiano, dalla cultura alla valorizzazione del territorio, fino alle nuove tecnologie: possono essere esperienze promettenti ma non devono essere abbandonate a sé. Avendo Milano come punto di riferimento verrebbero promosse in un sistema che le aiuta, le sostiene e le fa decollare, dentro processi più complessi e globali».  

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