
L’artista milanese Piero Manzoni
Milano, 31 luglio 2017 - Quelle sette opere di Piero Manzoni sono ufficialmente false. Ma ora c’è chi sostiene invece che siano clamorosamente autentiche. E a dirlo, con una sorta di testimonianza postuma, è un vecchio amico del provocatorio artista milanese morto nemmeno trentenne nel lontano ’63 e oggi star dell’arte contemporanea. È il noto gallerista Giovanni Schubert ad affermare l’autenticità delle quattro Tela grinzata, dell’ Ovatta a rettangoli e dei due Pacco di carta con giornale che portano la firma di Manzoni ma che, per la Fondazione a lui intitolata, sono irrimediabilmente falsi. Le opere sono al centro di un processo per ricettazione e Schubert non ha potuto testimoniare di persona perché è morto - ucciso e fatto a pezzi da un suo giovane collaboratore - ormai sette anni fa. Però ha parlato attraverso il contenuto di alcune lettere che l’imputato nel processo, ex legale del gallerista, ha esibito al giudice. Ma quanto sono attendibili quelle lettere e dunque la testimonianza postuma di Schubert? Andiamo con ordine. L’avvocato imputato è Carlo Pelizzari, che il pm Luigi Luzi accusa di ricettazione, messa in commercio di opere d’arte contraffatte e truffa. Il probabile raggirato è J.G., facoltoso commerciante danese appassionato d’arte contemporanea, assistito dagli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini, che da Pelizzari acquistò - pagandole in blocco 210 mila euro - le sette opere dell’enfant prodige autore degli Achrome e della Merda d’artista, i cui lavori originali, oggi, raggiungono quotazioni da capogiro.
Nell'aula del tribunale, davanti al giudice Monica Amicone, nell’udienza precedente si erano costituite parte civile (rivendicando la proprietà dei sette lavori) moglie e due figlie di Schubert, il gallerista ucciso e gettato nei Navigli da un collaboratore, dopo che l’anziana vittima aveva capito che quello s’era appropriato di alcuni quadri della galleria per rivenderli. Ma perché le eredi Schubert ora rivendichino la proprietà dei sette falsi Manzoni lo si è capito all’ultima udienza, quando l’avvocato Pelizzari ha esibito le lettere che attesterebbero l’autenticità delle tele. Il legale, fra l’altro, era uno dei pochi a poter entrare nei locali dove il celebre gallerista custodiva i quadri di sua proprietà e che, dopo l’omicidio-choc, risultarono misteriosamente quasi vuoti. Cinque anni prima di essere barbaramente ucciso, però, lo stesso Schubert era stato arrestato (ma poi prosciolto) per un’inchiesta della procura campana di Santa Maria Capua Vetere su un giro di falsi attribuiti a Mario Schifano, altro pratogonista dell’arte contemporanea. In quell’occasione gli investigatori sequestrarono a Schubert opere di vari artisti, compresi due dei Manzoni di questo processo, che già all’epoca vennero ritenuti falsi.