Out of order, in nome di Louise

La mostra dedicata ai collages della Nevelson nello spazio di Giò Marconi sino al 29 luglio in via Tadino

Migration

Sempre difficile, dura, quando non tragica la vita in Ucraina. Leah Berliawsky vi nasce nel 1899 a Pereyaslav, vicino a Kiev. Ma nel 1905 la famiglia è costretta a emigrare, a causa delle leggi antisemite da poco varate: il nuovo Paese sono gli States, precisamente il Maine, la cittadina di Rockville. La piccola Leah diviene così Louise e mostra presto ambizioni artistiche. Comprende però che per una donna è arduo distinguersi in un mondo ancora rigidamente maschile. Perché non sposarsi, a soli 17 anni? Cittadinanza americana e, soprattutto, un’inattesa stabilità economica. E un nuovo cognome: Nevelson. Non immediatamente, occorrerà qualche decennio, ma l’inedita Louise Nevelson s’imporrà come una delle artiste più importanti del ventesimo secolo. Ed è a Louise Nevelson che lo spazio di Giò Marconi, il figlio di Giorgio, in via Tadino 15, dedica, vernice venerdì 25 marzo, poi in cartellone sino al 29 luglio, la grande mostra “Out of Order”, un’ampia selezione di collages, la cifra assoluta dell’artista, scomparsa a New York nel 1988, e che nel 1962 espose alla Biennale di Venezia in rappresentanza degli Stati Uniti. L’hanno accostata al Cubismo e al Dadaismo, all’Espressionismo Astratto, più spesso al Surrealismo e al Femminismo, la sempre eccentrica Nevelson. La vera verità sta nella sua affermazione: "Il collage è il mio linguaggio".

Collage risultato dell’assemblaggio, sempre imprevedibile, di legni di scarto, che lei stessa recuperava nelle vie della Grande Mela o che giovani intraprendenti le portavano, dietro laute mance, recuperandoli da nobili dimore liberty in disuso: "Per quanto ne sappia - illustrò il suo lavoro Louise Nevelson -, nessuno aveva mai utilizzato il legno vecchio. Volevo un mezzo che fosse immediato: infatti io parlo al legno e il legno mi parla". L’hanno definita “architetto della luce“, ma anche “architetto dell’“ombra”, e pure “architetto della memoria”, più nelle composizioni di ridotte dimensioni, scatole, cassetti, che nelle grandi strutture architettoniche, come illustra il volume edito da Fondazione Marconi-Mousse Publishing. Artista di illuminante autoanalisi, Louise Nevelson: "Io mi sono sempre sentita donna. Il mio lavoro è la creazione di una mente femminile, non c’è dubbio".Gian Marco Walch

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