"Ora sono gli ospedali a misurare la pandemia"

L’infettivologo Andrea Gori: sottostima dei positivi al coronavirus intorno al 50%, in questa fase il dato più affidabile sono i ricoveri

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di Giulia Bonezzi

Una premessa: chi risulta positivo a un test fai-da-te del coronavirus deve andare a ripeterlo in forma ufficiale, "segnalarsi. Non è un consiglio, ma un obbligo e un dovere: questo agire poco ortodosso non aiuta le autorità sanitarie ad avere una fotografia chiara del problema", ricorda l’infettivologo Andrea Gori, primario al Policlinico di Milano e professore in Statale. "Ciò detto, credo che anche da parte di molte persone che hanno questo comportamento non propriamente etico ci sia comunque un atteggiamento prudenziale; che pur non dichiarandosi si isolino finché il test non diventa negativo. Il messaggio di avere questo rispetto per gli altri è passato in maniera abbastanza forte". Ieri sul Giorno abbiamo raccontato come, nelle settimane precedenti il picco dell’ondata estiva di coronavirus, nelle farmacie lombarde gli autotest rapidi venduti abbiano superato quelli fatti dai farmacisti. Un indizio del sommerso di contagiati che sfuggono ai radar perché non si dichiarano. "Sicuramente è un fenomeno estremamente diffuso, e determina una sottostima importante dei casi positivi che vengono riportati quotidianamente - osserva Gori –. Ma chi gestisce questi dati, chi deve prendere le decisioni ne è perfettamente a conoscenza. E gli epidemiologi, gli statistici, grazie a metodologie di correzione dell’errore sono in grado di tenerne conto quando fanno le loro proiezioni".

Professore, quanti casi reali in più ci potrebbero essere quindi, rispetto a quelli registrati?

"Ritengo che la sottostima si possa aggirare intorno al 50%. Ma proprio perché i dati quotidiani sui positivi sono inficiati dalla sottonotifica, il numero più importante diventa quello delle ospedalizzazioni. Perché, al di là di quanti siano i contagi, conta soprattutto quante persone stiano male e vengano ricoverate, e perché si tratta di un dato inconfutabile, in questa fase sicuramente più affidabile, rispetto a quello delle infezioni, per leggere l’epidemia".

E qual è l’andamento adesso, visto dall’ospedale?

"Molto diverso rispetto alle ondate precedenti, compresa quella dell’ultimo inverno, perché nel frattempo molte più persone hanno avuto la terza dose di vaccino, o anche la quarta. L’efficacia straordinaria della vaccinazione è sotto i nostri occhi: nella stragrande maggioranza dei casi l’infezione si manifesta in maniera estremamente blanda, non porta al ricovero, all’insufficienza respiratoria. Oggi abbiamo anche persone anziane, di 85, 90 anni che col primo o col secondo booster affrontano il Covid in forma molto sfumata. E abbiamo a disposizione gli anticorpi monoclonali e gli antivirali, altri strumenti che hanno cambiato la faccia della pandemia".

Chi sono i ricoverati Corona oggi?

"Oltre ai pazienti che sono in ospedale per tutt’altre ragioni, e risultano positivi al virus in maniera “incidentale”, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di persone con grandi problemi correlati ad altre patologie concomitanti: pazienti immunodepressi gravi, oncologici gravi, comunque molto fragili. Questo comporta anche un cambiamento organizzativo importante".

Quale?

"All’inizio della pandemia, le figure chiave erano infettivologi e pneumologi perché la patologia era strettamente legata all’infezione e all’insufficienza respiratoria. Oggi di ricoverati in Pneumologia, d’insufficienze respiratorie ne vediamo pochi. Vediamo invece persone polipatologiche, spesso anziane, che hanno un equilibrio in sé estremamente precario, e anche tre giorni di febbre a 39, dei quali un ventenne magari a stento si accorge, causano loro uno scompenso; così devono essere ricoverate, non tanto per curare il Covid ma per l’aggravarsi delle condizioni determinate dalle malattie pregresse. Sono pazienti che necessitano sempre più di un approccio di Medicina interna, cioè multispecialistico. Qualcosa che dev’essere recepito a livello organizzativo per dare alle persone una qualità di cura migliore. Oggi la figura chiave diventa quella dell’internista, la gestione dei pazienti dev’essere condivisa da più specialisti".

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