Maria Rita
Parsi
Già qualche anno fa, Marco Liorni mi invitò nella sua trasmissione, a commentare un
servizio della televisione coreana. Nel servizio, una madre,con occhialoni e
sensori alle dita, incontrava virtualmente l’avatar della sua
bambina morta a sei anni di leucemia e l’abbracciava e
dialogava con lei che le rispondeva a tono, che la confortava, che la invitava a giocare con lei, come se fosse realmente viva. Ma non lo era! E, in quel caso, il virtuale consentiva alla madre
di non elaborare il lutto. Il virtuale le forniva, pertanto, la possibilità di non affrontare il dolore e la morte. Vero è che questa realtà c’è chi non la accetta ma, anzi, la subisce. Eo, ancor più, cerca di evitarla come nel caso del giapponese Akihiko Kondo, 38 anni, che, nel segno dell’immortalità, ha sposato Hatsune Miku, un ologramma. Lo strano matrimonio, celebrato in Giappone nei giorni scorsi, è diventato notizia. Ma attenzione, e qui sta la notizia vera, nelle tante reazioni è mancato l’elemento che avremmo dato per scontato: la sorpresa. Nessuno ha detto o scritto: “Come diavolo è possibile?”. E, di
più: “Alikiko Kondo intende trasformarsi anche lui in ologramma, per consumare virtualmente il matrimonio?“. Segno dei tempi, dunque, se convolare a nozze con una immagine tridimensionale non suscita stupore alcuno. Opporsi al nuovo che avanza, bello o brutto che sia, equivale a fare di noi stessi un anacronismo (il che non necessariamente è un male). A metà degli anni ‘90 internet era considerato un passatempo per pochi. Oggi, 5 miliardi di persone non possono farne a meno. L’integrazione, talvolta conflittuale, tra uomo e
macchina si è già
realizzata. Certo, escludere uomini e donne dalle nostre
relazioni riservando le nostre
attenzioni a avatar e ologrammi, equivale ad amputare una parte fondamentale del nostro “essere umani”.
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