Una notte in via Cagni, tra falò, tende e fango: l’accampamento dei migranti in coda

In centinaia davanti alla sede distaccata della Questura. Ressa, contatti con gli agenti e lunghe file alle transenne: in 120 riescono a entrare per la richiesta di asilo

La lunga coda ieri negli uffici distaccati dell’Immigrazione

La lunga coda ieri negli uffici distaccati dell’Immigrazione

Milano - Gli alberi hanno i rami spezzati: il legno alimenta i falò dell’accampamento. La pioggia ha reso il terreno fangoso: più si cammina nel parchetto, più ci si impantana. Bustoni gonfi di rifiuti sono accatastati tra il bagno chimico e una tenda da campeggio. Ovunque sacchetti di plastica, trolley, scatole di cartone, piumoni a mo’ di fagotti: dentro ci sono stipate le vite precarie di decine di migranti. Due file di transenne, una di qua e una di là dalla strada, li dividono dalla porta della caserma Annarumma, sede distaccata dell’Ufficio immigrazione da più di sedici mesi. All’alba ci entreranno in 120. Uno su cinque, a giudicare dal numero di persone che incrociamo in due ore. Quartiere Bicocca, a due passi dal Parco Nord e dal confine con Sesto San Giovanni.

In questa via intitolata all’esploratore astigiano Umberto Cagni di Bu Meliana – che l’11 marzo del 1900 si imbarcò su una baleniera di 350 tonnellate diretta al Polo Nord con altri tredici coraggiosi compagni di viaggio – uomini, donne e bambini in prevalenza originari di Nordafrica, Sudamerica e Asia meridionale cercano di conquistare la terra promessa: l’Italia. Non fanno parte di coloro che sono passati dagli hotspot al Sud dopo lo sbarco e che da lì sono stati reindirizzati nelle 107 province con quote prestabilite.

O meglio, ce ne sono pure alcuni che sono stati assegnati ad altri territori e che hanno comunque scelto Milano, vuoi perché hanno qualcuno da raggiungere vuoi perché l’efficace passaparola tra connazionali informa che all’ombra della Madonnina i tempi sono più rapidi nella trattazione delle pratiche: chi fa parte di questa categoria non ha però speranze che la sua istanza venga presa in considerazione in via Cagni, visto che è tenuto a presentarla nel luogo in cui è stato destinato in partenza.

Gli uffici dell’Annarumma sono riservati dal 20 ottobre 2021 ai cosiddetti "spontanei", vale a dire a quelli che sono arrivati con un volo transoceanico o che più in generale sono sfuggiti al sistema di prima accoglienza e che si presentano senza appuntamento per mettersi in regola: i 120 che vengono accettati ogni lunedì – con priorità a famiglie con bimbi piccoli (ieri cinque nuclei con tredici minori), disabili e fragili – vengono sottoposti a screening sanitario (i casi di scabbia sono frequenti, ieri due) e identificati con una procedura semplificata (l’impronta di un solo dito) per capire se siano destinatari di provvedimenti dell’autorità giudiziaria (come capitato otto giorni fa a un uomo arrestato per un ordine di cattura) o se abbiano già intrapreso un precedente percorso di regolarizzazione terminato con un diniego.

Poi viene dato un appuntamento a ognuno per i giorni successivi, per avviare il percorso che potrebbe concludersi con la concessione del permesso di soggiorno per protezione internazionale o per altre forme di tutela. La scelta di creare una sede-bis è stata motivata all’epoca dalla Questura con la necessità di utilizzare spazi più ampi in tempi di pandemia e con la volontà di limitare i pericoli esterni legati al traffico stradale traslocando in una zona più periferica rispetto alla centrale via Montebello.

Con il passare dei mesi, la situazione è diventata sempre più complicata da gestire, per l’imponente folla che ogni weekend si palesa all’ingresso e per l’oggettiva impossibilità di far entrare tutti. Le prime lamentele sono giunte dai volontari del Naga, associazione che fornisce assistenza sanitaria e legale agli stranieri, che hanno contestato a più riprese il metodo di selezione dei "fortunati" (e le condizioni in cui sono costretti ad attendere il proprio turno) e che da inizio 2023 hanno attivato un monitoraggio settimanale.

Poi è toccato ai sindacati di polizia, che hanno parlato di "incombenze scaricate" solo sulle forze dell’ordine; specie dopo l’episodio del 23 gennaio, quando i poliziotti del Reparto mobile sono stati costretti a usare i lacrimogeni per respingere l’assalto di chi premeva per superare gli altri con la forza.

Di «situazione veramente al di là di poco o per niente dignitosa" ha parlato il 20 febbraio il sindaco Giuseppe Sala, che si è confrontato con prefetto e questore per studiare una serie di contromisure: dall’incremento degli agenti impegnati all’introduzione delle prenotazioni. Detto che il personale è già stato potenziato e che è difficile prevedere un meccanismo che riservi posti in anticipo a "fantasmi" mai censiti prima (al netto dei traffici illeciti che si potrebbero sviluppare per lucrarci sopra e che in passato sono stati intercettati e denunciati), il nostro viaggio nella notte di via Cagni fa emergere una lacuna che proprio il Comune potrebbe contribuire a colmare. Allestendo una postazione fissa della Protezione civile all’esterno (da aggiungere a quella già attiva all’interno), così da dare assistenza a chi sosta in zona per giorni con qualsiasi condizione meteorologica.

Ore 0.20, appena girato l’angolo di viale Suzzani si intuisce già quello che sta per succedere. Man mano che ci si avvicina ai lampeggianti delle camionette, si delineano chiari i due "schieramenti": da una parte, gli uomini in assetto antisommossa che presidiano il perimetro; dall’altra un centinaio di ragazzi, quasi tutti egiziani e qualche pakistano, che si gettano in massa contro gli scudi per conquistare un’ipotetica prima fila. Peccato che la fila non ci sia, sostituita da un disordinato semicerchio che ondeggia avanti e indietro: giovani e giovanissimi avanzano sventolando fogli con le loro generalità, impermeabili alle richieste di "Indietro, indietro" dei funzionari dell’ordine pubblico.

Posto per tutti non ce n’è , ma i candidati all’esclusione non vogliono sentire ragioni: appena due genitori con una bambina, inseriti tra i 120, si avvicinano per accedere, riparte subito il parapiglia per accodarsi. La reazione è energica, tra urlacci e spintoni per rompere il gruppo e abbassare la pressione. Sull’altro lato, all’incrocio con via Grilloni, la coda dei sudamericani è molto più composta: c’è un ventenne intabarrato che ripete fino allo sfinimento il nome della sua terra d’origine ("Bolivia, Bolivia, Bolivia"), come se quella parola potesse garantirgli uno speciale lasciapassare; lo stesso fanno colombiani, venezuelani, peruviani. Di questi ultimi fanno parte Samir e Juan. Il primo dice di essere a Legnano da tre mesi, a casa del fratello.

"Voglio trovare un lavoro", spiega a bassa voce, con gli occhi lucidi fissi sul figlio di 8 anni, che guarda il mondo attorno a sé seduto su un mini sgabello di plastica. Il secondo ha 45 anni, e da 3 vive a Cernusco sul Naviglio con la moglie: "Lavoro? Sì, in nero... Sono qui da venerdì, non sono riuscito a entrare neanche stavolta". Al quinto tentativo consecutivo. All’1.21, ecco la comunicazione che nessuno vorrebbe ricevere: "Chiuso". Molti la prendono male: piangono disperati, abbracciano il parente più vicino, imputano ai più esagitati la speranza tradita. Altri si appoggiano rassegnati alla transenna, a osservare chi ce l’ha fatta. Altri ancora si mettono d’accordo per la prossima volta: "Dai che lunedì tocca a noi, sono sicura. Ora andiamo".

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