
Una lezione di musica allo Spazio vita
Milano, 7 maggio 2018 - Carlo (nome di fantasia), 62 anni, paraplegico, viveva in una roulotte di tre metri per due. Si lavava all’aperto, anche in inverno, e la mancanza d’un bagno aveva innescato una catena di conseguenze: peso, lesioni da decubito. La squadra dello Spazio vita del Niguarda l’ha trovato così a febbraio 2017, e s’è messa al lavoro per risolvere il problema principale e quelli collaterali, ad esempio insegnando alla moglie a spostarlo senza farsi male. Grazie al pressing sul Comune di residenza, a ottobre Carlo ha ottenuto una casa, adattata grazie all’ispezione della squadra che ha fatto eliminare un gradino, proprio in bagno. Carlo è uno dei 50 residenti nell’area metropolitana di Milano di cui s’è preso cura l’anno scorso il progetto Brige, che ne recluterà altri 30 prima della fine del 2018 e di questa sperimentazione biennale della Coop Spazio vita, in collaborazione con l’Asst Niguarda diretta da Marco Trivelli, finanziata dalla Regione, presentata la scorsa settimana a un gruppo di addetti ai lavori.
«Bridge» cioè «ponte», dall’ospedale alla vita, per disabili motori con nessuna o lieve compromissione cognitiva. Nato per i pazienti dimessi dall’Unità spinale del Niguarda, con lesioni midollari «e bisogni ancora in sospeso», spiega la primaria emerita Tiziana Redaelli, s’è poi allargato - e adattato - a persone con deficit motori d’altra natura, congeniti o acquisiti, da 0 a 74 anni. Età media 37, sette sono bambini. È una presa in carico a più braccia, con piani personalizzati da un team coordinato da un case manager: personale dell’Unità spinale, psicologi, assistenti sociali, terapisti occupazionali e consulenti «alla pari» (cioè disabili), un medico che coinvolge quello di base o il pediatra e chi assiste la persona a domicilio «senza sostituirsi ma ottimizzando la rete per risolvere i problemi». E includendo i familiari. L’obiettivo medico è prevenire complicanze che possono portare a ricoveri inutili, verificando l’aderenza alle terapie «che col tempo tende a sfumare» e lavorando anche di fino, spiega Elena Chiara, coordinatrice di Bridge, ad esempio sul problema di pressione di una signora tetraplegica che non lasciava il letto da due anni perché sveniva quando la mettevano in carrozzina.
C’è un braccio psicologico, uno «ergoterapico» che si occupa di barriere architettoniche e addestramento all’autonomia, un braccio «sociale» che spazia dalla burocrazia fino a percorsi d’avviamento al lavoro e di vita indipendente. E c’è un braccio «ricreativo», con corsi di musica, arte, sport nel centro costruito accanto all’Unità spinale dalle associazioni Aus e Asbin: «Il tempo libero di qualità è importante per combattere l’isolamento», ricorda Giovanna Oliva, presidente della Coop Spazio vita. E si augura che «questo possa diventare un servizio mediato dall’ospedale», che con la riforma della cronicità è diventato «gestore» anche di quei cronici speciali che sono i disabili motori: «Noi non siamo gestori, ma siamo stati precursori di quest’idea di presa in carico integrata, personalizzata per rispondere ai bisogni delle persone. Questo è un modello che speriamo possa essere esportato, siamo pronti a fare formazione».