Neonato morto al Buzzi, ricorso pilota: "Risarcire il suo dolore prima del decesso"

Il legale della famiglia presenta ricorso in Tribunale "Fra i danni anche la sofferenza del piccolo prima del decesso"

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di Andrea Gianni

Ha lottato tra la vita e la morte per quattro giorni, fino a quando i medici dell’ospedale Buzzi di Milano non hanno potuto far altro che dichiarare il decesso, dovuto a "encefalopatia ipossico ischemica con insufficienza multiorgano e arresto cardiaco". Dalla tragedia, avvenuta l’anno scorso, è scaturito un ricorso depositato ieri dal legale dei genitori al Tribunale civile di Milano, con al centro un’istanza che, se accolta dai giudici, potrebbe costituire un precedente. In questi casi, spiega l’avvocato Andrea Marzorati, legale della famiglia, "viene generalmente risarcito il solo “danno parentale” subito dai genitori e parenti, oltre agli eventuali danni psichici. Non vengono però risarciti i cosiddetti danni iure hereditatis, ossia i danni che il neonato ha direttamente subito nonostante possa aver sofferto per giorni e giorni. Anche se il neonato non è in coma, e quindi è vigile – prosegue – si tende infatti a ritenere che durante l’agonia non abbia una consapevolezza piena". Nel ricorso del legale viene sostenuta la tesi che "il neonato poteva comunque istintivamente percepire, e tanto è bastato al piccolo per sentire la sofferenza propria di chi sta per morire".

Una sofferenza "innata, da quando facciamo il primo respiro", legata anche al fatto che il neonato "non era farmacologicamente sedato". Una prospettazione che, quindi, potrebbe avere conseguenze sul calcolo dell’eventuale risarcimento. Nel ricorso viene ricostruita la vicenda che, un anno dopo, ha lasciato uno strascico di dolore per i genitori, una coppia milanese, in cura da uno psicologo. La madre era già alla 40esima settimana di gravidanza ma, alla visita di controllo all’Ospedale dei bambini Buzzi, centro d’eccellenza a livello nazionale, fu rimandata a casa, nonostante avesse la proteinuria (proteine nelle urine), la pressione alta e fosse aumentata di peso di 30 chili. Il feto era ancora vivo e vitale, mentre la madre presentava gravi situazioni di rischio tanto che, qualche giorno dopo la dimissione, ha subito forti perdite liquide ed ematiche. Il marito la riaccompagnò subito all’ospedale, dove i medici decisero di praticare un parto cesareo d’urgenza. Le condizioni del neonato apparvero subito critiche. Venne intubato, e dopo quattro giorni di disperati tentativi di salvargli la vita i medici dichiararono il decesso. Morte che, secondo la relazione medico-legale di parte, è correlata al "distacco massivo di placenta che poteva essere previsto ed evitato". "Nonostante fosse in possesso di tutta la documentazione – spiega lo studio legale – l’assicurazione non ha mai dato concreta risposta, e per i genitori tale indifferenza è stata come morire una seconda volta". La parola passa ora al Tribunale civile.

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