La pizza è servita. Dalla ’ndrangheta

Le cosche investono e riciclano nei ristoranti del Nord: 9 arresti e sequestrate quote di società per 10 milioni

Intercettazioni

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Milano, 9 novempre 2019 - «Vuole sapere più o meno quanto... perché mi ha passato quello là delle mimose...». È il 7 marzo 2018, festa della donna. Al ristorante-pizzeria Tourlè di Sesto San Giovanni stanno preparando la serata. Il cognato del proprietario Marco Bilotta chiama Giuseppe Carvelli per chiedergli il prezzo da concordare per l’acquisto dei mazzetti: «Un euro, un euro e mezzo massimo?». «Un euro massimo», la risposta.

In quel locale, uno dei tanti aperti in Lombardia e nel resto d’Italia dalla nota catena di franchising specializzata nel «giro-pizza», il quarantanovenne crotonese è solo il direttore di sala, affidato in prova ai servizi sociali dopo 9 anni in carcere per stupefacenti (cumulo pene complessivo di 22 anni e 9 mesi), ma tutti lo trattano come il proprietario. Il motivo: lui è il proprietario, o comunque ha investito 400mila euro in quell’attività, consegnando, come rivendicherà, quei soldi a Francesco Bilotta, padre di Marco, per metterli al riparo da eventuali provvedimenti delle forze dell’ordine simili a quello già subìto nel 2008 (confiscati beni per 2,25 milioni). Il giro di denaro, accumulato nel periodo in cui Carvelli ha movimentato decine di chili di cocaina sulla piazza meneghina (con collegamenti accertati con esponenti delle ’ndrine Mancuso di Limbadi e Pesce di Rosarno), è stato ricostruitodai poliziotti della Divisione Anticrimine della Questura di Milano, coordinati da Alessandra Simone.

L’indagine è partita dall’approfondimento di una segnalazione sulla catena Tourlè (una quarantina di locali), indicata come «riconducibile ai Mancuso», e si è sviluppata attorno al vorticoso scambio di quote societarie gestito da prestanome. Gli elementi raccolti si sono rivelati fondamentali per il successivo lavoro degli uomini della sezione Criminalità organizzata, guidati da Marco Calì e Marco De Nunzio, che, sotto il coordinamento dell’aggiunto della Dda Alessandra Dolci e del pm Sara Ombra, hanno trovato prove sufficienti per imputare a Carvelli, al cognato Salvatore Vona, al nipote Gaetano Ierardi e ai Bilotta il reato di associazione a delinquere finalizzata al trasferimento fraudolento di beni. Sotto sequestro preventivo, per un valore di circa 10 milioni di euro, le quattro società proprietarie di altrettanti ristoranti a Sesto, Cologno Monzese, Torino e Milano (mai aperto), un’agenzia immobiliare intestata al figlio di Carvelli (indagato) e l’azienda che gestiva l’hotel Lincoln di Cinisello Balsamo.

Perquisito ieri anche un nipote di Antonino Lamarmora, condannato come capolocale di Limbiate nel processo «Infinito», a testimonianza della vicinanza di Carvelli alla criminalità organizzata calabrese. Dopo i primi periodi di difficoltà, la formula del «giro-pizza» aveva conquistato la clientela, che inconsapevolmente foraggiava le tasche di Carvelli e in parte dei suoi sodali. Che a un certo punto avevano pensato di vendere il marchio per 30 milioni di euro: «Io quando ne ho 5 – il commento del quarantanovenne – cambio nome... cambio il coso... i miei ci faccio mettere un altro... non è che... io ce ne ho 50mile cose in testa». Come quella di aprire un noleggio di auto di lusso sopra la pizzeria di Sesto: «Ferrari, Porsche... le faccio mettere a posto e le vendo, io quello sto facendo, ma adesso se va in porto apriamo officina, carrozzeria, autolavaggio...». Il crotonese aveva persino piazzato le telecamere nelle casse del ristorante a Torino, così da monitorare i movimenti dei suoi collaboratori. Il suo motto: «Parliamo di persona, così ti faccio capire cosa vuol dire avere a che fare con me... No, no, io i problemi li creo, non ne ho problemi, li creo...». 

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