
Via San Mamete
Milano, 1 agosto 2017 - «Abbiamo ricominciato a vivere, non mi sembra vero». La voce è quella di Daria Santangelo, mamma, tra i cittadini più battaglieri di via San Mamete 76, quartiere Adriano, che per mesi hanno convissuto con «una moschea e un ostello sopra la testa».
Non per modo di dire, visto che «la moschea» (formalmente associazione culturale) era sorta all’interno del complesso condominiale occupando due livelli, al confine con appartamenti. Così da ottobre 2016. Non si contano le proteste degli abitanti alle prese con litanie e viavai a tutte le ore. «Un fiume umano che non è compatibile con il luogo e non è previsto dal regolamento», il pezzo forte della denuncia presentata dai condomini. Sedici famiglie hanno deciso di fare causa al costruttore, che ha affittato gli spazi a un’associazione culturale islamica, e la battaglia legale si è conclusa poco più di un mese fa. «Abbiamo vinto. L’associazione è andata via a metà giugno. La giustizia ci ha dato ragione. Agli altri cittadini alle prese con una questione simile dico di non demordere, siamo con loro». Tra i «disperati», gli abitanti di via Cavalcanti 8 che da tre anni denunciano la situazione creatasi nello scantinato del loro condominio: 500 metri quadrati diventati la sede del Milan Muslim center gestito da Bangladesh Cultural & Welfare association. «Classificato come C2, magazzino, per il quale non è mai stata concessa nessuna variazione di destinazione d’uso – sottolinea Irma Surico –, eppure viene frequentato da centinaia di persone, che lì pregano e svolgono diverse attività». Non manca il “centro estivo”, «sì, vediamo bambini accompagnati dai genitori, che lì si intrattengono». Ora «la scuola estiva, presumibilmente coranica, non può che preoccuparci: decine di bambini accedono a un luogo che non ha uscite di sicurezza né condotti d’aerazione. Il pericolo è evidente ma il Comune non sta facendo nulla. Nei prossimi giorni andrò a verificare personalmente», dichiara Samuele Piscina (Lega), presidente del Municipio 2.
Altro caso è quello di via Faà di Bruno, zona piazzale Cuoco. Altra «associazione culturale» con luogo di culto incorporato nel seminterrato di un condominio. Lo scorso marzo La direzione centrale sviluppo del territorio aveva emesso l’ordine di ripristino della destinazione originaria dei locali interrati. «Un passo importante – sottolinea Paolo Guido Bassi (Lega), presidente del Municipio 4 –. Scaduti i 30 giorni di tempo, ne sono stati concessi altri 60. Vigileremo. E l’attenzione resta alta: nei giorni scorsi abbiamo chiamato la polizia perché il centro era rimasto aperto oltre l’orario consentito».