“Servo del regime”, gli sparano. Montanelli gambizzato dalle Br

Milano, ferito alle spalle nella campagna contro i giornalisti. Era il 2 giugno 1977

Il Giorno del 3 giugno 1977

Il Giorno del 3 giugno 1977

Milano, 2 giugno 2017 - «Quella mattina sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L’altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due-tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano nè ossa nè arterie. Ma sarebbero sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano». Quella mattina del 2 giugno 1977, giusto quarant’anni fa, la raccontò così nei suoi diari Indro Montanelli. Alle dieci di mattina, un commando delle Brigate rosse aspettò che il direttore uscisse dall’Hotel Manin dove dormiva, e mentre stava per attraversare verso piazza Cavour lo raggiunse alle spalle. In quel momento uno di loro fece fuoco, sparando alle gambe del più noto giornalista italiano che da pochi anni aveva lasciato il Corriere della Sera, secondo lui ormai troppo spostato a sinistra, per fondare il Giornale che in molti ritenevano non solo di destra ma «fascista».

Paolo Granzotto, all’epoca vicedirettore del Giornale, anni dopo la raccontò così al Giorno. «Avevamo gli uffici nel Palazzo dei giornali, con i finestroni che davano proprio su piazza Cavour e su via Manin. Montanelli era un abitudinario, aveva i suoi orari e non sgarrava mai. Sapevo che vederlo arrivare era una questione di minuti. Invece ad un certo momento vidi non lui, ma gente che correva, si voltava e correva ancora verso il punto dove poi seppi era caduto Montanelli. Non so come, ma tutta quell’agitazione proprio lì e a quell’ora, mi fece gridare a Sebastiano Mele, autista personale del direttore: “Corra giù, corra giù, dev’essere successo qualcosa!”. Lui si precipitò per le scale e fu proprio Sebastiano a sollevare da terra Indro, a prestargli i primi soccorsi». Fortunatamente Montanelli, che aveva 68 anni, si riprese in breve tempo. In clinica, fra l’altro, andò a conoscerlo un giovane imprenditore che avrebbe avuto un certo successo, Silvio Berlusconi. I brigatisti, che avevano cominciato la loro campagna di piombo contro i giornalisti «servi del regime», quella mattina erano tre. Lauro Azzolini, che era il capo della colonna milanese Walter Alasia e verrà catturato in un’azione di polizia il 1° ottobre ’78 dopo la scoperta del covo di via Monte Nevoso. Franco Bonisoli, l’altro armato, che nei giorni del sequestro Moro farà parte della direzione delle Br e del comando esecutivo insieme ad Azzolini e a Mario Moretti. Calogero Diana il terzo: la mattina del 2 giugno attese i complici in macchina ma era sua la pistola Ppk 7,65 che sparò, ritrovata in un ripostiglio segreto di via Monte Nevoso ben dodici anni dopo la prima perquisizione.

Più che con quei giovani ai quali, dieci anni dopo, concesse il perdono stringendo loro le mani in pubblico, Montanelli se la prese con la borghesia milanese che il mito delle Br aveva alimentato. «La notizia che in fondo mi fa più piacere - ricorderà in seguito rievocando quei momenti - è che in due salotti milanesi, quello di Inge Feltrinelli e quello di Gae Aulenti, si è brindato all’attentato contro di me e deplorato solo il fatto che me la sia cavata. Ciò dimostra che, anche se non sempre scelgo bene i miei amici, scelgo benissimo i miei nemici».

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