MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Minori stranieri soli in città, alla Bicocca l’oratorio che apre le porte: "Sport, cucina e lezioni d’italiano”

Il progetto partito a marzo a San Giovanni Battista per far fronte all’emergenza. A Milano oltre mille adolescenti in carico al Comune. Ora alcuni diventeranno animatori

A lezione di italiano all'oratorio San Giovanni Battista

A lezione di italiano all'oratorio San Giovanni Battista

Milano - “Mi sono innamorato di Milano guardando su internet le sue strade: sognavo di poterci vivere". Così dal Kosovo, la sua terra, il sedicenne Endrit ha preso un autobus che lo ha portato a Trieste dopo un viaggio di 5 giorni. Poi, un treno verso la Madonnina. Tutto solo.

Oggi è tra migliaia di minori stranieri non accompagnati che cercano un futuro in Italia. Lui ha iniziato a costruirselo all’oratorio di San Giovanni Battista alla Bicocca, in viale Fulvio Testi, che da marzo, unico in città, ha allestito una sorta di “centro diurno“ sperimentale per gli adolescenti di altri Paesi, senza adulti di riferimento. "Abbiamo iniziato con 5 ragazzi e siamo arrivati a 26 – fa sapere il parroco don Antonio Fico – dopo aver raccolto l’appello della Caritas che nel periodo natalizio ha invogliato le parrocchie a organizzare qualcosa per questi ragazzi, perché è sempre più difficile per le istituzioni garantire a tutti un percorso educativo vista l’emergenza". Già.

Le comunità sono stracolme e devono fare i conti con numeri altissimi: lo scorso anno i minori stranieri non accompagnati in carico solo al Comune di Milano erano 1.300, quasi il doppio dei due anni precedenti. Una situazione che l’Amministrazione, in affanno, segnala da tempo chiedendo una regìa a livello nazionale. Il quadro in Lombardia resta lo stesso: lo scorso 31 marzo, i minori stranieri non accompagnati a Milano erano 1.153; ancora, 211 a Pavia, 210 a Bergamo e 209 a Brescia. La lista continua con 166 a Cremona e 164 a Varese. Poi 158 a Como e 112 a Lecco. Ancora, 111 a Monza, 78 a Mantova, 52 a Lodi e 15 a Sondrio. Non tutti vengono coinvolti in progetti e percorsi scolastici o lavorativi.

E qui entra in gioco la parrocchia: "Abbiamo proposto a questi ragazzi dei laboratori pensati apposta per loro", continua don Fico. I ragazzi arrivano al mattino, da varie comunità o dormitori in cui trascorrono la notte, e partecipano alle attività: lunedì lavori artistici, martedì cucina, mercoledì teatro, giovedì sport e venerdì falegnameria. Appuntamento quotidiano, la lezione d’italiano. "Perché la lingua è la base di partenza", continua il parroco. I giovanissimi, tra i 15 e i 18 anni, arrivano da Tunisia, Albania, Kosovo, Egitto e Africa sub-sahariana e sono seguiti da una trentina di volontari tra cui insegnanti in pensione, professionisti di vari ambiti, studenti.

Grazie alla comunità, i ragazzi tengono vive le loro speranze e le nutrono proprio perché hanno trovato adulti in grado di guidarli. "Mi piace cucinare e giocare a calcio balilla. Da grande vorrei diventare barista o parrucchiere", dice Endrit. Hazir, suo conterraneo 17enne, mostra con orgoglio un polsino con i colori del Milan: "Non so che lavoro mi piacerebbe fare. Intanto, sogno di visitare San Siro". Sono a Milano da pochi mesi e già sono in grado di esprimersi in italiano. Come Souleman e Sajuca, sedicenni in arrivo dal Gambia. Sorridono: "Ci troviamo bene qui, oggi stiamo imparando a fare la pizza". Il primo vorrebbe diventare un pompiere, il secondo un ingegnere informatico.

Sono adolescenti che portano macigni sulle spalle, fatti di un passato doloroso. Alcuni senza genitori, tutti costretti a lasciare i Paesi d’origine. "In Italia siamo arrivati con il barcone dopo aver attraversato il deserto e aver sofferto la fame e il freddo". Ma adesso "siamo felici", dicono Souleman e Sajuca. E sono pronti a mettersi in gioco a loro volta, per gli altri: "Saremo tra gli animatori dell’oratorio estivo", annunciano. Momento che segnerà (per ora) anche la fine del progetto sperimentale alla Bicocca per i minori stranieri non accompagnati. E poi? "Vorremmo riproporlo il prossimo anno", conclude il parroco. "Ma c’è bisogno di finanziamenti e soprattutto di un educatore professionista". E chissà che l’oratorio di San Giovanni non diventi un modello per altri progetti simili in città. Il solco è stato tracciato.