Manifestanti pro Navalny identificati a Milano, Piantedosi: “Non è compressione della libertà personale”

Il ministro dell’Interno ha replicato alle polemiche scoppiate dopo che alcune persone che stavano deponendo fiori per l’oppositore russo si sono viste chiedere i documenti

Milano – “L'identificazione delle persone è un'operazione che si fa normalmente nei dispositivi di sicurezza del territorio. Mi è stato riferito che il personale che aveva operato non avesse piena consapevolezza”. Risponde così, il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, alle polemiche scoppiate ieri pomeriggio quando alcuni manifestanti, che si erano riuniti per portare dei fiori in memoria di Navalny in corso Como, dove si trova una targa in ricordo di Anna Politkovskaya, si sono visti chiedere i documenti. 

La risposta di Piantedosi arriva in Prefettura, a Milano, a margine della sigla di un accordo tra la Regione Lombardia, l'Agenzia Nazionale per l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e l'Anci Lombardia. "È capitato anche a me nella vita di essere identificato, non credo che che sia un dato che comprime una qualche libertà personale”.

Il ministro Piantedosi
Il ministro Piantedosi

Poi il ministro ha risposto alle domande sui temi caldi. Tra cui i Cpr, i centri di permanenza per i rimpatri, dove “molto spesso non sono nelle condizioni migliori proprio perché l'opera di vandalizzazione che viene fatta dalle persone che sono dentro non consente sempre che siano nelle condizioni migliori”.

E ancora: “I Cpr sono luoghi ovviamente di detenzione e di privazione della libertà previsti dalla legge dove si concentrano situazioni anche di comprensibile disperazione da parte di chi ci finisce dentro secondo quelle che però sono delle previsioni di legge”. Ad un cronista che chiedeva se questa non sia una forma di protesta rispetto a condizioni “disumane” che ci sono nei Cpr, Piantedosi ha replicato: “Questo lo dice lei... è una sua opinione ma non è così, abbiamo sistemi di monitoraggio continuo. Se i Cpr non vengono devastati vengono mantenuti in condizioni più accettabili”.

Sempre sul tema dei migranti, Piantedosi ha risposto a una domanda sulla sentenza della Corte di Cassazione che ha reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28 che nel 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo, riportandoli in Libia e consegnandoli alla Guardia costiera. “L'Italia non ha mai coordinato e mai consegnato in Libia migranti raccolti in operazioni di soccorso coordinate o direttamente effettuate dall'Italia. La sentenza della Cassazione va letta bene, non con una lettura di tipo politico o ideologico”.

“La sentenza – ha spiegato Piantedosi – va collocata temporalmente in un momento preciso in cui la Libia aveva determinate condizioni e le collaborazioni con l'Ue erano finalizzate a portare la Libia a superare le situazione di quel momento. Tra gli elementi importanti di lettura della sentenza vi sono dei principi a cui il governo si è sempre attenuto nel regolamentare l'attività di rimpatrio”. Anche perché, ha sottolineato, “chiunque interviene deve coordinarsi con le autorità competenti in materia, non può esserci spontaneismo. L'importante è che ci sia coordinamento”.

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