
Albertini e Robledo
Una battaglia infinita. Una lotta senza esclusione di colpi. Un ex sindaco contro un ex magistrato. I protagonisti dell’eterna guerra a colpi di carte bollate sono Gabriele Albertini e Alfredo Robledo. L’ultima puntata della querelle ha fatto segnare nei giorni scorsi un punto a favore del secondo, che ha battuto il primo in Cassazione: i giudici della Suprema Corte hanno respinto il ricorso dei legali di Albertini e confermato quanto stabilito in primo e secondo grado a Brescia, rendendo definitiva la condanna a pagare 35mila euro per il contenuto ritenuto diffamatorio di due interviste rilasciate da Albertini il 26 ottobre 2011 e il 19 febbraio 2012. A questo punto, serve un passo indietro.
Tutto nasce undici anni fa, quando Albertini accusa Robledo, con una memoria depositata in Tribunale e con un esposto all’allora ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, di aver commesso una serie di irregolarità nel corso delle indagini svolte nei confronti suoi e di altre persone. I riferimenti vanno a tre inchieste che mirano ad approfondire questioni risalenti al periodo (1997-2006) in cui Albertini ha guidato la Giunta di piazza Scala: quella sugli emendamenti in bianco in Consiglio comunale; quella sull’acquisto della Serravalle da parte della Provincia; e quella sui contratti derivati sottoscritti da Palazzo Marino. Robledo querela per calunnia. E in sede civile lo cita per diffamazione, a seguito di due interviste pubblicate a cavallo tra 2011 e 2012. Nel 2013, il Parlamento europeo, di cui Albertini è stato membro per nove anni, gli nega l’immunità per quelle dichiarazioni; nel gennaio 2017, però, gliela concede il Senato (con una decisione poi annullata nel 2021 dalla Corte Costituzionale), dove il politico siede in quota Area popolare (ai tempi puntello del neo governo Gentiloni).
Un mese dopo, Albertini viene assolto dall’accusa di calunnia: "Un giudice esiste anche a Brescia e non solo a Berlino", commenta il suo avvocato Augusto Colucci. Nel frattempo, il primo settembre 2016, è però arrivata la condanna in sede civile: Albertini viene condannato a versare 35mila euro a Robledo per diffamazione, anche se il giudice ridimensiona l’iniziale richiesta risarcitoria di 350mila euro e ritiene dimostrata "la verità, quantomeno putativa", delle affermazioni sui "metodi da Gestapo" che il pm avrebbe adottato il 21 marzo 2003 nei confronti del dirigente comunale Giancarlo Penco, sentito per due volte in un giorno come teste. Dopo la conferma nel 2020 della Corte d’Appello di Brescia, ora è arrivato l’ultimo verdetto della Cassazione, che ha confermato i precedenti.
Per gli ermellini, bene hanno fatto i giudici di secondo grado a ritenere che "l’affermazione “il pm ha insabbiato il fascicolo Serravalle” travalicasse i limiti del diritto di critica, perché volta ad addebitare al magistrato non la semplice trascuratezza o dimenticanza nella trattazione del procedimento, ma la precisa volontà di “nascondere le presunte responsabilità penali” degli amministratori pubblici coinvolti nell’indagine, al fine di favorirli". Stesso ragionamento per espressioni come "scelta arbitraria di indagini" sul caso dei derivati e "malagiustizia" sugli emendamenti in bianco. Stavolta tocca ad Albertini pagare. Fino al prossimo duello.