Da borgo di ortolani a mercato di street food asiatico: il tempo ha cambiato il volto e l’anima di via Paolo Sarpi, cuore della Chinatown milanese. Un secolo fa l’arrivo dei primi cinesi, specializzati nel commercio di vestiti all’ingrosso. Nel 2010 la pedonalizzazione, con la posa di beole e aiuole, che ha spinto i grossisti fuori città. Dopo il Covid la proliferazione di dehor e ristoranti: e così, quello stretto chilometro di strada è oggi meta di turisti e curiosi, tutti qui per provare specialità come i baozi e gli spiedini fritti. "Era la terza via commerciale di Milano: delle 200 botteghe italiane ora ne restano una trentina", racconta Fabio Marini, titolare di un antico negozio di abbigliamento. Ma nel tempo la comunità asiatica si è via via integrata: "I ragazzi cinesi hanno cambiato la mentalità dei genitori", spiega Filippo Buttitta, vicepresidente del centro culturale Diamocilamano. Ma con il cibo e la movida sono arrivati altri problemi. "La mattina trovo rifiuti e bottiglie davanti alle vetrine", racconta Ting Sin Chiu, titolare di una storica pelletteria. Del resto, ogni trasformazione ha un suo prezzo da pagare.
Thomas Fox