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Loreto 1944, il ricordo: "Mio nonno, quel maestro socialista che credeva nel riscatto dell’Italia"

Quindici vite sacrificate per la libertà in quel tragico giorno del 10 agosto del 1944 a Piazzale Loreto. Un plotone della legione Muti, per ordine della sicurezza nazista, li fucilò perchè antifascisti. La commemorazione a Milano (FOTO) di Stefania Consenti

La tragedia del 10 agosto del 1944 a Piazzale Loreto

Spari squarciano l’alba, quindici corpi senza vita esposti tutto il giorno. Quindici vite sacrificate per la libertà in quel tragico giorno del 10 agosto del 1944 a Piazzale Loreto e vogliamo elencare tutti i loro nomi: Antonio Bravin, Giulio Casiraghi, Renzo Del Riccio, Andrea Esposito, Domenico Fiorani, Umberto Fogagnolo, Giovanni Galimberti, Vittorio Gasparini, Emidio Mastrodomenico, Angelo Poletti, Salvatore Principato, Andrea Ragni, Eraldo Soncini, Libero Temolo e Vitale Vertemati. Un plotone della legione Muti, per ordine della sicurezza nazista, li fucilò perchè antifascisti. Oggi, per ricordarli, due diversi momenti: alle 10, in Piazzale Loreto, deposizione di corone alla stele che ricorda i Martiri alla presenza delle massime istituzioni (Regione, Provincia e Comune) e intervento di Sergio Fogagnolo, figlio di Umberto Fogagnolo e presidente dell’associazione Le radici della Pace. Alle 21, invece, interverranno Massimo Castoldi, nipote di Salvatore Principato, Danilo Galvagni, segretario generale Cisl Milano, Gianni Mariani della Fiap e Roberto Cenati, presidente Anpi Provinciale. 

 

Milano, 10 agosto 2014   «Quella mattina mia madre, Concettina Principato, aveva preparato con cura il cambio della biancheria da portare a suo padre, Salvatore, incarcerato a San Vittore. Ma, arrivata lì, le dissero a bruciapelo che non serviva più, tanto suo padre era stato fucilato a Piazzale Loreto. Restò ammutolita e, tale fu lo choc, che la sua memoria cominciò a vacillare. E, lei che amava la musica, smise di suonare il pianoforte. Per sempre». Massimo Castoldi, filologo e critico letterario, direttore della Fondazione Memoria della Deportazione, è nipote di uno dei quindici martiri uccisi il 10 agosto del 1944 a Piazzale Loreto, il maestro socialista Salvatore Principato, siciliano di Piazza Armerina dove aveva visto i natali in una bella e tiepida giornata di fine aprile del 1892. Terra amata e abbandonata per potersi avvicinare ai centri più attivi del socialismo italiano. A Milano frequenta Filippo Turati, esercita con passione l’attività di insegnante, partecipa alla Grande Guerra. Diventa esponente di spicco del movimento antifascista meneghino, attivo sin da subito nella gestione della stampa clandestina con “centrale” dal 1943 in via Cusani 10. E per questo arrestato. Alle quattro e trenta del 10 agosto del ’44 Salvatore Principato e altri 14 detenuti vengono svegliati e raccolti nel corridoio principale del carcere di San Vittore. Caricati su un convoglio, composto da cinque autocarri e un’autovettura, vengono fatti scendere a Piazzale Loreto. Per coprire gli spari, racconterà poi Giuseppina Ferazza, una quindicenne testimone dell’eccidio dalla finestra della sua casa che si affacciava sullo spiazzo, alzarono il rumore dei motori. Massimo guarda la foto, indica il nonno. Tocca a lui raccogliere il testimone. E oggi, a distanza di 70 anni, dopo i discorsi pronunciati, da quello stesso palco in Piazzale Loreto, dalla nonna, Marcella Chiorri Principato, che dopo la fucilazione del marito ne proseguì l’azione politica, e da sua madre, Concettina, sino al 2001, ora tocca a lui fare «memoria».

Che cosa prova ancora oggi? «Una forte emozione a ripensare agli avvenimenti che stravolsero la vita della mia famiglia. E avverto una grande responsabilità, il confronto ideale con mio nonno, che non ho conosciuto, è quotidiano. Sono i suoi valori che hanno ispirato le mie scelte e che vorrei far conoscere alle nuove generazioni perchè sempre attuali. Io, come lui, sono un insegnante».

Ma chi era Salvatore Principato? «Una persona normale. Colto, appassionato di politica, aveva il culto delle istituzioni e coltivava dentro di sè valori risorgimentali. Attaccato alla famiglia, una persona normale. Amava Milano, qui era arrivato nel 1912, gli stava stretta la sua Sicilia. Milano era in quegli anni la città di Filippo Turati e di Anna Kuliscioff. Iniziò ad insegnare a Vimercate, dal 1913. Poi a Milano, prima nelle scuole del quartiere Turro e Comasina, poi dal ’33 alla “Leonardo Da Vinci”. Fra i suoi allievi anche Umberto Veronesi. Ostile alla guerra e fieramente non interventista, mio nonno partecipò a tre campagne in fanteria ed ottenne una medaglia d’argento al valor militare per aver preso e fatto prigionieri quindici austriaci». 

Gestiva una stamperia clandestina, dove si organizzava la Resistenza e si preparavano gli scioperi del marzo ’44, per questo fu arrestato? «Sì ma in momenti diversi. La prima volta avvenne già nel marzo del ’33 per la delazione della giovane domestica Cristina Morelli, assunta da mio nonno per assistere la madre Concetta, gravemente ammalata. Alla fine fu assolto, fu scarcerato e divenne un sorvegliato speciale della polizia fascista. Il suo appellativo era Socrate e come tale era segnalato in questura. La seconda volta l’8 luglio 1944, nel pomeriggio, in via Cusani, e fu condotto nel carcere Monza. Non trovarono armi ma molta stampa clandestina».

Si è spesso parlato di martiri operai di Piazzale Loreto... «Non tutti lo erano. Non furono scelti a caso. Si volle dare un segnale a quanti operavano, a vario titolo, nella Resistenza milanese. Agli operai che organizzarono i primi importanti scioperi e agli intellettuali, come mio nonno, che si occupavano di veicolare la propaganda antifascista. Ma bisognerebbe approfondire meglio la vicenda di tutti gli altri per capire le ragioni della loro fucilazione e restituire a Milano un pezzo della sua storia».

di Stefania Consenti