GIULIA BONEZZI
Cronaca

Aborto in Lombardia: calano gli obiettori ma ancora dodici ospedali non danno la pillola

L’indagine del Pd: "Applicazione della legge 194 ancora insufficiente"

Una pillola abortiva (foto di repertorio)

Una pillola abortiva (foto di repertorio)

MILANO – A 45 anni dalla legge 194 che garantisce alle donne il diritto a interrompere volontariamente una gravidanza, in Lombardia più di metà dei ginecologi assunti negli ospedali pubblici continua a esercitare il proprio diritto a non collaborare, ma nel 2022 l’obiezione di coscienza, che dal 2017 calava di un punto all’anno circa, è precipitata al 55,2% dal 60% del 2021.

Numeri generali che però non fotografano una realtà sfaccettata, osserva Paola Bocci, consigliera regionale del Pd che dal 2013 monitora l’applicazione della 194 in Lombardia, ospedale per ospedale. "Un osservatorio-ombra", lo definisce il capogruppo dem Pierfrancesco Majorino, col quale il principale partito d’opposizione assolve un compito "che sarebbe dell’istituzione regionale". L’anno scorso 11.003 lombarde hanno abortito: più del 2021 (nel quale, rileva l’ultima relazione del Ministero della Salute sulla 194, la pandemia ha impattato però sulla raccolta dei dati) ma meno del 2019, a conferma del calo delle Ivg che è stato costante dopo l’introduzione della legge.

E però, rileva Bocci, su 62 strutture pubbliche lombarde solo 50 praticano le Ivg, "alcune perché le ginecologie non sono più attive", altre perché le concentrano in alcuni ospedali della stessa Asst, ma c’è anche chi fa girare i ginecologi o ne ingaggia a gettone per tappare i buchi di un’obiezione che "in metà delle strutture supera il 60% e in cinque arriva al 100%": Asola in provincia di Mantova, Gardone Val Trompia e Iseo nel Bresciano, Oglio Po in provincia di Cremona e Saronno nel Varesotto.

Dieci anni fa, gli ospedali a “obiezione totale” erano più del doppio, undici, e il Niguarda, il più grande di Milano, doveva ricorrere ai gettonisti perché aveva l’85,7% di obiettori; nel 2022 erano invece il 50%, ma un altro grande ospedale come il Papa Giovanni, con 24 obiettori su 32 ginecologi deve ancora ricorrere a un gettonista e a due volontari per garantire le Ivg; del resto Bergamo, col 73,6%, è la seconda provincia con l’obiezione più alta dopo Varese (76,5%) . Secondo i dem, il calo dell’obiezione è "spesso" un effetto ottico dovuto "alla riduzione del numero complessivo di ginecologi che determina un’incidenza maggiore dei non obiettori", anche se un ruolo, a un decennio dalla caduta del governo regionale ciellino, potrebbe averlo avuto il ricambio generazionale.

Intanto l’aborto farmacologico, dopo l’eliminazione dell’obbligo di tre giorni di ricovero, è schizzato dal 10% del 2018 al 40,4% del totale delle Ivg l’anno scorso. Anche qui, osserva Bocci, "siamo sotto Emilia Romagna e Piemonte che già nel 2021 superavano il 60%", ma soprattutto la forbice è ampia tra il Lodigiano (dove già nel 2019 si usava la Ru486 per il 41,2% degli aborti e l’anno scorso si è arrivati al 72,54%), e la Brianza o l’hinterland di Milano, che invece si fermano ancora rispettivamente al 13,79 e al 14,2% (mentre Milano città è al 41,14% delle Ivg).

Su cinquanta ospedali pubblici che praticano le Ivg, ben dodici non offrono la pillola: Busto Arsizio nel Varesotto, Cantù nel Comasco, Merate nel Lecchese, Treviglio e Seriate nella Bergamasca, Chiari nel Bresciano, Asola nel Mantovano, Legnano, Magenta, Rho e Cernusco in provincia di Milano, e il San Gerardo di Monza, da poco promosso Irccs.

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