di Giambattista
Anastasio
È universale, ma solo per alcuni. È libera, ma solo a certe condizioni. Sembrano paradossi e infatti lo sono. Sembra l’incipit di un rebus da risolvere. E per alcune famiglie si tratta proprio di questo. Senza che ci sia, però, nulla di divertente. Un rebus del quale farebbero a meno. Ad essere universale, ma solo per alcuni, è il diritto all’istruzione. Ad essere libera, ma solo a certe condizioni, è la possibilità di scegliere a quale scuola iscrivere i propri figli. Di fronte al rebus si trovano, sempre più spesso, i genitori dei bambini e dei ragazzi con disabilità grave o gravissima. La domanda, per l’esattezza, è come garantire ai propri figli il diritto all’istruzione e come garantire a se stessi il diritto a scegliere quella che ritengono possa essere la migliore scuola per i propri figli. Detto altrimenti, detto in sintesi: come conciliare istruzione e disabilità?
Federica Galavotti avrebbe voluto iscrivere suo figlio alla scuola paritaria Madre Bucchi di Milano. Il bambino ha 6 anni e a settembre dovrà iniziare le elementari, entrerà nel ciclo della scuola dell’obbligo. E già adesso ama molto la musica, una materia che alla Madre Bucchi viene insegnata già in prima. Al momento, però, pare proprio che la richiesta di Federica non possa essere esaudita. Suo figlio, infatti, ha una disabilità grave, è tracheostomizzato e per stare in classe ha bisogno di qualcuno che sappia eseguire le manovre del caso, a partire dall’aspirazione, vale a dire la pulizia della sonda. "Non occorre necessariamente un infermiere – sottolinea Federica –, basta che ci sia personale qualificato o che lo si formi in questo senso". Ma avere personale di questo tipo in servizio nelle scuole, accanto ai minori con disabilità grave, sembra sia sempre più complicato, praticamente impossibile. E i motivi sono soprattutto due.
Il primo è datato, purtroppo: il sistema sociosanitario che dovrebbe assistere queste famiglie non è attrattivo per i professionisti del settore perché le retribuzioni sono basse e l’impegno può essere gravoso, un fatto che, unito alla carenza di infermieri, logopedisti e altri specialisti, sta mettendo seriamente a rischio la possibilità di dare assistenza ai minori con disabilità grave e ai loro genitori. Il secondo riguarda le scuole dell’obbligo. Che siano pubbliche o paritarie, sembra, in molti casi, che non ci sia modo di reclutare personale qualificato per questi alunni. Non a caso, ci sono mamme che si vedono costrette ad entrare in aula con i figli, ad assumersi la responsabilità di assisterli pure a scuola purché possano frequentarla, rinunciando così ad una vita professionale, fosse anche part-time. Federica, però, lavora. E la sua vicenda è la somma di ambo i problemi, come appare evidente dal suo racconto. Da un lato, "la scuola non si attiva in alcun modo e lo trovo inaccettabile". Dall’altro, il sistema sociosanitario regionale e gli enti accreditati dalla Regione per assistere i minori con disabilità grave, non riescono a mettere a disposizione del bambino "un’infermiera per più di 4 ore a settimana": n rispetto all’orario scolastico. Federica, quindi, dovrebbe arruolare a sue spese un operatore sociosanitario che stia col bambino in classe. Spese che, in questo caso, si aggiungerebbero alla retta. Il risultato è che al momento suo figlio non potrà frequentare le elementari nella scuola scelta dalla sua famiglia.
È qui che si pone uno dei due quesiti: che ne è di quella libertà di scelta che dovrebbe costituire il senso stesso dell’esistenza di scuole paritarie? "Non è vero che i bambini sono tutti uguali" sentenzia Federica. La domanda è stata rivolta anche a don Cesare Pavesi, referente della scuola Madre Bucchi: "Purtroppo la libertà di scelta finisce nel momento in cui si passa dalla teoria alla pratica – ammette –. In Italia è così. In altri Paesi, ad esempio in Francia, è diverso: lì non c’è alcuna disparità tra i fondi che lo Stato riconosce alle scuole pubbliche e quelli che riconosce alle scuole paritarie. Il fatto stesso che noi dobbiamo far pagare una retta significa che non c’è parità di trattamento. E le rette ci permettono di stare in equilibrio, siamo no profit. Al di là dei fondi, il problema è la completa mancanza della medicina scolastica e dell’assistenza sanitaria a scuola, che una volta erano garantite. E la mancanza di spazi in cui potersi prendere cura dei ragazzi con esigenze particolari. Detto questo – conclude Don Pavesi –, noi, tra elementari e medie, abbiamo 5 alunni con disabilità". Nessuno tracheostomizzato.
E la scuola pubblica? Non va meglio. Fortunato Nicoletti, vicepresidente di “Nessuno è escluso“ e padre di Roberta, bambina di 6 anni con una malattia ultrarara, la displasia campomelica acampomelica, sta conducendo una dura battaglia legale per veder riconosciuto il diritto della figlia di andare a scuola come gli altri. Prima di essere dirottato verso il Tar, ha fatto ricorso al tribunale civile contro la Regione e l’ente accreditato che segue Roberta, uno degli enti autorizzati ad occuparsi di Assistenza domiciliare integrata, per dire "basta con le lezioni a singhiozzo". "A mia figlia – ha raccontato – viene tuttora comunicato solo il venerdì se la settimana successiva potrà o no andare a scuola. E per quanti giorni e per quante ore. Il suo diritto all’istruzione dipende dalle ore che l’operatore e l’ente erogatore riescono ad assicurarle. Che continuità può esserci, così? Che profitto può avere il percorso di studi?". Da qui il secondo quesito: è davvero universale il diritto all’istruzione?
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