
Il Piccolo Cottolengo Don Orione in viale Caterina Da Forlì ospita residenze per anziani e disabili
Milano, 4 maggio 2018 - Il Piccolo Cottolengo Don Orione fa marcia indietro, e si impegna a «trovare una soluzione» sul caso della dipendente, Giuseppina Bruzzano, licenziata dopo aver vinto la sfida contro un tumore all’intestino perché “non ricollocabile”. La lettera di licenziamento arrivata alla donna alla vigilia del Primo maggio, festa dei lavoratori, ha provocato uno strascico di polemiche e clamore mediatico sulla storica istituzione religiosa di assistenza ad anziani e disabili in viale Caterina da Forlì. E ieri il direttore, don Pierangelo Ondei (nella foto), ha risposto all’appello lanciato da Giuseppina Bruzzano, che mercoledì ha scritto anche a Papa Francesco e all’arcivescovo di Milano Mario Delpini, per «riavere il lavoro, che vivo come una missione, ma che garantisce anche a me e alla mia famiglia un reddito per una vita dignitosa». Don Ondei ha assicurato quindi l’impegno per «trovare una soluzione», assieme ai suoi superiori. La proprietà e la gestione dell’istituto sono affidati alla Provincia Religiosa di San Marziano di Don Orione, ente religioso ecclesiastico appartenente alla Congregazione religiosa della Piccola Opera della Divina Provvidenza.
La retromarcia potrebbe preludere al reintegro della donna, per 33 anni ausiliaria socio-assistenziale al don Orione, che cinque anni fa si è ammalata di tumore e recentemente è stata giudicata dall’Ats, l’Agenzia di Tutela della Salute, idonea al lavoro pur con alcune limitazioni nelle attività, che comportano ad esempio il sollevamento di pesi superiori ai cinque chili. «Vogliamo essere ottimisti - spiega Margherita Napoletano, del Sindacato generale di base - ma siamo abituati a festeggiare solo quando c’è la firma sul contratto e una soluzione positiva per la lavoratrice. Intanto è stato fatto un passo avanti». Giuseppina Bruzzano, assistita dall’avvocato Simonetta Ferro, ieri ha depositato formalmente il ricorso al Tribunale del Lavoro di Milano, impugnando la lettera di licenziamento firmata da don Ondei. Lettera in cui viene messo nero su bianco che «la Provincia (termine con cui si indica l’ente religioso di gestione, ndr) ha esperito il tentativo di ricollocarla in mansioni differenti, equivalenti o finanche inferiori a quelle attuali compatibili con il suo stato di salute, appurando tuttavia l’insussistenza di posizioni alternative disponibili, sia presso la struttura di Milano, sia presso le altri sedi». Un provvedimento accolto dalla donna con dolore e rabbia: «Nonostante le limitazioni al sollevamento di pesi posso distribuire pasti e pulire i pazienti più autonomi o fare anche altre attività, altri dipendenti nelle mie condizioni sono stati ricollocati in lavori analoghi».