RITA CARELLI*
Cronaca

La mia Milano tra Brera e l’epica jazz

Rita

Carelli*

Al mio paese, adagiato ai piedi dell’unica collina del territorio milanese, dove si produce l’unico vino doc che porta l’insegna di Milano, ci si definiva “ milanes arious“, milanesi ariosi. Comunque milanesi. Anche se la città per noi ragazzi era lontana, un sogno che volevamo scoprire, una realtà tutta da conquistare. Milano del lavoro. Milano della cultura. Milano ricca di stimoli artistici. Milano piena di tutto ciò che in provincia ci mancava. Milano da cui speravamo essere prima o poi accolti. Fatti suoi. Dove poterci esprimere liberamente, dove cercare confronti aperti, dove costruire la nostra vita, il nostro futuro. Così, all’inizio, Milano fu per me la musica

del Teatro Lirico. Bisognava esserci perché da lì passavano tutti i più grandi: da Ray Charles a Ella Fitzgerald (di lei conservo tuttora l’autografo). E lì non ci si accorgeva nemmeno di fare notte fonda al festival del Jazz con Lionel Hempton che non finiva mai di suonare, instancabile, il suo vibrafono incantatore. Poi è venuta l’emozione dei capolavori scoperti alla Pinacoteca di Brera, nei musei del Castello Sforzesco e al museo del Novecento dentro le sale di Palazzo dell’Arengario, o nel grandioso scrigno di Palazzo Reale con le sue mostre di richiamo mondiale. Era solo l’inizio, perché le scoperte della bellezza e della storia artistica della città avveniva anche con le piacevoli escursioni tra le originali collezioni conservate in palazzi di famiglia come il Bagatti Valsecchi o il Poldi Pezzoli. Senza contare lo stupore dell’arte contemporanea regalato dalle collezioni e dalle rassegne che si susseguivano a ritmo incalzante tra il Pac e le numerose, importanti gallerie della grande città che mi stava offrendo più di quello che avevo sperato. Oggi che sono diventati milanesi i miei affetti più cari penso con infinita riconoscenza a un incontro che ha cambiato la mia consapevolezza di artista: quello con il mio maestro, il pittore milanese Luigi Lomanto. Mi accolse nel suo piccolo atelier al quarto piano di un palazzo di via Revere, ai margini del Parco Sempione. Guardavo l’immenso giardino tra l’Arco della Pace e il Castello e vedevo i colori delle stagioni che cambiavano (sì, anche a Milano, non solo sulle mie amate colline) e imparavo a “vedere”, a dare una personalità più definita al mio lavoro.*Artista