La lunga scia delle saracinesche abbassate

Viaggio da Centrale a Porta Nuova tra locali spenti dallo smart working e spiragli di resistenza: "Troppi hanno dovuto gettare la spugna"

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di Annamaria Lazzari

Lo smart working e le altre conseguenze della pandemia hanno spento bar e ristoranti. A Cordusio, Centrale e Porta Nuova c’è una scia di chiusure che in alcuni casi si protrae da quasi un anno. I locali che scommettono sull’apertura lo fanno con margini di guadagno ridotti. E nel caso di via Vittor Pisani alla battaglia economica si aggiunge quella del decoro. "Di notte il gazebo esterno l’ho blindato ma alla mattina devo svegliare i senza dimora che dormono di fronte all’ingresso. Nei giorni scorsi quando faceva molto freddo di giorno accendevano un fuocherello e dovevo andare fuori a chiedere la cortesia di spegnerlo" dice Francesco Invernizzi, titolare del bar “Impossible Milano” in via Pisani. Scene quasi incredibili che sono come sale sulle ferite procurate dal lavoro a distanza e dall’assenza di turisti: "Il nostro locale era abituato a fare fino a 60 coperti a pranzo. Adesso 2530". "Noi siamo quasi a un quarto del lavoro di prima" aggiunge Giovanni Papa di “The Street Bar“ di via da Recanate. "Al dramma economico si aggiunge quello sociale: l’assenza di passaggio espone la zona della Stazione a maggiori pericoli. Ho notizia di aggressioni alle 19".

Al “Café Berlino“ la responsabile Vivian Fasson denuncia il "problema del decoro" con le deiezioni umane trovate, ieri mattina, di fronte alla porta. Altri esercizi pubblici sono chiusi nonostante la zona gialla: solo in via Pisani è il caso di caffetteria “Pascucci“, di “The Singer Music Restaurant“ e del café e ristorante “Antares“. Una situazione che si replica anche in centro. In via Meravigli ci sono tante, troppe vetrine vuote: un buco nel sorriso commerciale di una via dove hanno sede Camera di Commercio e l’azienda Ernst & Young. Il bistrot “Galleria Meravigli“ è chiuso dallo scorso marzo: "Non ho più riaperto da allora e non riaprirò più. Primo perché lo smart working è la regola. Poi per consentire ai dipendenti di accedere alla Naspi. L’avventura finisce qui dopo 9 anni" spiega con amarezza il titolare Paolo Salluzzi. "La soluzione è una sola: far tornare le persone alle loro scrivanie" sollecita Angelo Cardinale, socio del bar “Meravigli 13“. Anche al Porta Nuova Food District, sotto piazza Gae Aulenti, rimangono spente le insegne di “That’s vapore“. Da “Ca’ Pelletti“ hanno portato via pure gli arredi. "Noi abbiamo riaperto solo due settimane fa e speriamo che non si ripiombi a breve in zona arancione. Già ora i volumi sono il 20%-30% rispetto a prima. Per fortuna Coima ci è venuto incontro con gli affitti ma la situazione è drammatica" afferma Anna Casarotti, a capo di “Italian Bakery“. In viale della Liberazione, vicino al Samsung District, sono chiusi la pizzeria Briscola e Casa Gourmet (rimasta spoglia anche dell’arredo). "Prima della pandemia Repubblica era una miniera d’oro. Solo a pranzo noi facevamo almeno 3 turni. Siamo passati da 130 presenze a una trentina quando va bene. La nostra "baracca" è rimasta in piedi perché abbiamo una metratura media e abbiamo sempre lavorato bene. I locali enormi, per i tanti costi fissi, hanno dovuto gettare la spugna" la diagnosi di Luca Vettoretti, gestore del ristorante “Solo Crudo“.

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