"In piazza Duomo è stato Taharrush Jama’i"

L’antropologa Maryan Ismail: ragazze isolate e accerchiate da tre gruppi stretti, tecnica esplosa nel 2011 in Egitto e appresa sul web

di Marianna Vazzana

Taharrush Jama’i in arabo significa assalti e aggressioni sessuali. Una pratica odiosa messa in atto da uomini in branco che violentano donne in strada. Che sia proprio questo, il fenomeno avvenuto in piazza Duomo a Milano la notte di Capodanno lo spiega Maryan Ismail, originaria della Somalia, in Italia da oltre 40 anni (di cui 30 a Milano), docente di Antropologia dell’immigrazione in vari istituti e presidente della neonata associazione Unione islamica italiana.

Ha analizzato i fatti in un lungo post su Facebook che in due giorni è stato condiviso quasi 1.500 volte. Perché pensa che si tratti proprio di Taharrush Jama’i, quel che è accaduto a Milano?

"Perché la strategia messa in atto è proprio quella. Le vittime, come in altri casi precedenti, sono state isolate e assalite con azioni precise. Gli aggressori formano 3 cerchi stretti: il primo è quello che violenta fisicamente la ragazza, il secondo cerchio filma, fotografa e guarda lo spettacolo, mentre il terzo distrae la folla. Uno o due maschi del primo cerchio si fingono ‘protettori e salvatori’ e rassicurano la vittima convincendola che sono lì per aiutarla. Nel video con le ragazze tedesche si notano due giovani che sembra vogliano spingerle fuori dalle transenne, ma in realtà partecipano alla violenza. La tecnica di protezione ha lo scopo di disorientare la ragazza e di spezzarne la resistenza perché così non sa più di chi fidarsi. Patisce quindi anche un ulteriore e drammatico supplizio di tipo psicologico. La vittima viene palpeggiata, svestita, percossa, morsa, subisce penetrazioni digitali o di corpi estranei e, se c’è abbastanza tempo, violenza sessuale vera e propria".

I presunti aggressori di Milano come avrebbero appreso questa pratica?

"Indubbiamente dal web. Non è un caso che i video a riguardo circolino sui social di lingua araba. I presunti aggressori indagati sono giovani e giovanissimi stranieri o italiani con genitori di origine nordafricana. Qualora fossero responsabili, non dovranno avere attenuanti culturali, ma essere giudicati per violenza sessuale di gruppo".

Nel mondo arabo da quanto tempo si è affacciata questa pratica?

"Da moltissimi anni, anche se il fenomeno è esploso in Egitto nel 2011 durante la caduta di Mubarak ed è stato ben documentato dalla giornalista della Cbs Lara Logan, vittima di un assalto in piazza Tahrir. Le donne hanno iniziato a rispondere, a non accettare in maniera passiva le violenze. Si è anche appurato che velo e abito tradizionale non tutelano, e neppure la religione di appartenenza: le donne vengono colpite in quanto tali (anche bambine e anziane, si va dai 7 ai 70 anni). Alla base c’è la volontà di dominio. Ciascuna di noi avrebbe potuto finire in quella trappola: poteva esserci mia figlia o le sue amiche, potevo esserci io. In Egitto, in Marocco, in Pakistan, in Indonesia e non solo sono state promulgate leggi specifiche contro questo fenomeno, che poi abbiamo visto accadere a Colonia (a gennaio del 2016, ndr) e ora pure nella nostra Milano. Bisogna intervenire al più presto".

Come?

"Dobbiamo unirci, tutte noi persone perbene: italiani e stranieri, di qualunque religione e idea politica, mettendo da parte le ideologie. Bisogna promuovere un urgente e serio programma d’intervento nelle periferie, nelle scuole, nelle parrocchie, nei centri di aggregazione e non solo. I ragazzi devono capire che le donne non sono oggetti, ma sono le loro sorelle, le loro madri, fidanzate e mogli. Sono l’altra parte di sé. E si integri anche la legge del Codice rosso a tutela delle vittime".

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